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L’educazione della mente nel Vedanta. Ascolto, riflessione e meditazione nella pratica dell’Advaita Vedanta (2)

ShravNa, Manana, NidhidhyAsana.

[adattamento da I Discorsi di Sri Chandrasekarendra Saraswati]

L’analisi mentale dell’Upadesha (insegnamento) attraverso la riflessione costante è l’esercizio detto Manana. Successivamente, quando non esiste più necessità e scopo per ulteriore analisi e discussione, si procede con NidhidhyAsana, che è lo stato in cui la mente è concentrata esclusivamente nell’identificazione con l’atman- tattva, su cui si è giunti a una perfetta chiarezza, e la mente non è scossa da alcun movimento.
Shankaracharya, nel trattato sulla Discriminazione tra Atman e anatman (AtmA-anAAtma-vivekam) ha descritto in prosa, mediante domande e risposte, il contenuto delle espressioni “ShravaNa” ”manana” e “nidhidhyAsana”. La verità che è insegnata nel Vedanta è espressa nelle dichiarazioni (Mahavakya) dei Veda, che vengono esposte e dimostrate dal Guru secondo un procedimento tradizionale. Ascoltare e ricevere questo insegnamento è detto shravaNaM. Avendo imparato a conoscere l’Essere non duale, si analizza e persegue nel ragionamento in accordo con i Veda-ShAstra; questo è mananaM. E’ importante sottolineare “in accordo con i Veda-shAstra”. La logica da seguire deve essere conforme ai Veda-shAstra. Attraverso la sadhana la mente deve essere forgiata a lavorare nella giusta direzione. Solo così si può affrontare la riflessione sull’upadesha impartita dal Guru senza essere condotti in errore dal mentale inferiore, erroneamente chiamato mente razionale. Scartata la logica distorta, si adotta quindi una logica coerente con lo scopo dei Veda. Tale analisi è mananaM. Quando l’intelletto ha trovato la conferma ricercata, è il momento dell’esperienza. Quindi, senza essere distratta da alcun altro pensiero, la mente (cittaM) dovrebbe ora fluire come un’onda in una sola direzione (dell’Atman). Questo è ‘nidhidhyAsanaM’ – è così che è definito nell’AtmAnAtma-vivekaM.

I concetti sull’Atman sono chiariti durante il manana, e questo stesso esercizio porterà al nidhidhyAsana, alla meditazione sull’Atman solo.
Quando il nidhidhyAsanaM è profondo, accadranno molte cose – o potrebbero accadere – conosciute solo da Ishvara e da quel Jiva che è il sAdhaka. Potrebbero verificarsi alcuni eventi che non sono comprensibili nemmeno dal Jiva. Qui non si dovrebbe vacillare, ma mantenere salda la fede e affidarsi alla devozione più profonda. Quindi, senza lasciarsi confondere dagli eventi tumultuosi e incomprensibili che potrebbero accadere, si proseguirà sulla retta via che il Guru ha mostrato. Ishvara farà accadere cose che sollecitano ogni residuo di karma o vAsanA per portarlo alla sua destinazione finale. Solo quando tali VasanAs e il karma vengono distrutti, quel processo stesso scatenerà una catena di ulteriori sollecitazioni (scuotimenti) delle nadi del cuore – dette “nAdi mathanaM” – che porteranno alla fusione dell’io (antaHkaraNaM) nel cuore. Tutte queste cose accadono in realtà spontaneamente.

Non è bene distrarsi immaginando questi eventi o aspettandoseli in maniera esatta (meglio non attardarsi nei dettagli, piuttosto concentrarsi sullo scopo di questi eventuali fenomeni).
Ishvara potrebbe non comportarsi nello stesso modo per tutti. Potrebbe avere diversi modi di gestire questa fase. Il vecchio equilibrio (karma) potrebbe essere diverso da persona a persona e il modo con cui Ishvara lo risolverà differirà di conseguenza. Forse alcuni potrebbero non percepire alcun “mathanaM” (scuotimento). Perché, ad esempio, alcuni non hanno necessità di portare la mente sull’Atma-sthana nel cuore, ma sono in grado di pensare all’Atman come trascendente e onnipervadente ed essere già in grado di concentrarsi su di esso.
È in ragione di tutto ciò l’Acharya dice semplicemente “Porta avanti il tuo nidhidhyAsana sempre più profondamente e continua” e poi menziona la Realizzazione del Brahman come destinazione e niente altro.

Ci sono tre autorità – shruti (i Veda), yukti (ragionamento), anubhava (esperienza) – per conoscere la Verità. Di questi si dice che shruti corrisponde a shravaNaM, yukti corrisponde a mananaM e anubhava corrisponde a nidhidhyAsanaM. I mantra della shruti e tutte le questioni relative a Brahma-vidyA sono ascoltate dal discepolo con l’udito (shrotra) dalle parole guru. È quindi opportuno associare lo shravaNaM con la shruti.
Il concetto di “yukti” è un po ‘più difficile da comprendere correttamente. Questo ‘yukti’ (ragionamento) non è il pensiero razionale con cui nel mondo ordinario usiamo il nostro intelletto per arrivare alle conclusioni. Né questa parola ‘anubhava’ (esperienza) è la comune esperienza che ci accade a livello della mente ordinaria. Quello che viene detto qui è uno ‘yukti’ (ragionamento) che sarà fatto, al più alto livello dalla mente e dall’intelletto – che sono stati inondati da shraddhA (fede) e bhakti (devozione), calmati, riposati e purificati dalla sAdhanA (pratica spirituale) – quando stanno convergendo alla radice stessa dell’ego allo scopo di distruggere quell’ego. Allo stesso modo, l’ “anubhava” è ciò che una mente e un intelletto così raffinati e temperati hanno conosciuto con “yukti”, come esperienza dello strato più profondo della mente, proprio dalla base stessa dell’ego. Non è necessario parlarne ora. Se succede veramente a un fortunato, lo saprà riconoscere da solo.

Si dice che lo stato neutrale di pace e tranquillità sia sAtvikaM (da sattva, purezza). D’altra parte, se stiamo vacillando per la forza dell’emozione come di solito siamo, questa condizione si chiama rAjasam (da rajas, emozione). Il ragionamento ordinario del nostro intelletto è quindi rajasico, e quindi non adatto allo scopo. Ma il livello della sadhana di cui stiamo discutendo ora, ha trasformato il rajasico e l’ha reso satvico. Il pensiero che svilupperà sarà completamente diverso. Non sarà un ragionamento oppositivo alla Verità e agli Shastra, basato su un campo limitato chiamato razionalità. Invece sarà concordante con la Verità degli Shastra e portatore di una saggezza che è superiore alla “razionalità”. Su questo l’Acharya ha detto:

Mokshaika-saktyA vishhayeshhu rAgaM
nirmUlya sannyasya ca sarva-karma /
sashraddhayA yaH shravaNAdi-nishhTo
rajaH svabhAvaM sa dhunoti buddheH // (Viveka Chudamani 182/184)

Tutto l’impegno dovrebbe essere dedicato alla Liberazione (dal samsAra). Tutti gli attaccamenti agli oggetti dei sensi dovrebbero essere sradicati. E di conseguenza abbandonati tutti i karma, diventando un sannyAsi, chiunque dotato di shraddhA si dedichi costantemente a shravana, manana e nidhidhyAsana, ed emenderà la natura rajasica dell’intelletto.

MananaM, il processo di ripetizioni mentali del upadesha, ha per scopo di stabilizzare la mente, impedendo di dare spazio a digressioni o distrazioni. Per quanto tempo si deve praticare l’esercizio mentale e mnemonico? Shankaracharya risponde con una battuta: se vi dicono di mondare il riso dalla pula, per quanto tempo dovete continuare? Ovviamente, fino a quando il riso non risulterà pulito. Allo stesso modo, fino a quando l’Atman non uscirà dalla nebbia dell’avidyA, si deve perseverare nello stesso pensiero, nella stessa ripetizione, nello stesso dhyAnaM.

L’esercizio del mananaM, che lavora ad analizzare la materia concettuale, porta al nidhidhyAsana che mostra la stessa cosa con l’esperienza. A questo punto non ci sono analisi o dibattiti. C’è solo quel singolo pensiero, dhyAna. Shankaracharya lo paragona al getto d’acqua che converge in una direzione, così la convergenza del pensiero in una direzione è dhyAna. “Che scorre dritto come l’olio” è un’altra sua espressione.
‘Muni’ è una parola sanscrita per una grande persona che è un perfetto Jnani (sapiente) e spiritualmente molto potente. È questo il migliore tra i Rishi. Solo colui che è un adepto nel processo di “manana” è chiamato “muni”. In Sutra Bhashya III – 4 – 47, l’Acharya parla della derivazione della parola “muni”. Dice anche che la parola “muni” ha un significato speciale in jnAna. Quindi il processo di ‘mananaM’ non è solo la ripetizione e la memorizzazione, né è, come pensiamo di solito, un ragionamento logico a livello intellettuale per apprendere questioni spirituali con il cervello. È molto più alto di questo. È qualcosa che si sofferma su questioni illuminate dal tocco dell’intuizione.

Shankaracharya ha conferito il più nobile status all’ascolto (shravaNa) dell’insegnamento del Guru. Ma lo stesso Acharya dice “manana è cento volte più grande di shravaNaM”.  Se mananaM è cento volte più grande di shravaNaM, dice, nidhidhyAsanaM è centomila volte più grande di mananaM.
MananaM non è lettera morta; è conoscenza piena di vita. Ma anche quella conoscenza diventa piccola piccola di fronte all’esperienza. Potresti sapere tutto sullo zucchero, potresti avere quantità di zucchero di prima qualità, ma non sono equivalenti all’esperienza del sapore di un pizzico di quello zucchero. Ecco perché dice che nidhidhyAsaM è centomila volte più grande di manana.
NidhidhyAsaM non è un istante in cui si stabilisce l’esperienza permanente di Brahman. È solo con uno sforzo personale che si compie ciò che si chiama nidhidhyAsaM. E si possono avere lampi dell’esperienza di Brahman. Nel momento in cui lo diciamo, sappiamo che c’è dualità in questo. Se l’esperienza di Brahman, invece di luccicare, scintillare e scomparire come un lampo, se quel lampo di brahmAnubhava “fulminasse” in un certo senso, uccidendo il Jiva-bhAva (la percezione dell’individuo) e lo trasformasse nel nettare del Brahman stesso, quella sarebbe la fine di tutto; questa è la condizione della siddhi (perfezione). La sAdhanA si ferma qui, lo stesso sAdhaka diventa il sAdhya (l’obiettivo) sthAna (locus).
Proprio come funzionano gli arti, così anche nidhidhyAsa è un lavoro fatto mentalmente. Per quanto sia glorificato, permane la dualità dell’azione e del fare; quindi, come può essere considerata come la Verità Finale che si regge da sola?
Anche così, finché continua la percezione individuale come Jiva, l’unica cosa nobile che si può fare per non essere quel Jiva è continuare a pensare solo a Brahman; perciò, bisogna mantenere fermamente l’esercizio del nidhidhyAsaM.
L’azione di pensare costantemente al Brahman finisce nello stato in cui si è diventati il Brahman senza azione.
In realtà questo divenire avviene solo per la grazia di Dio. È per sua grazia che il JivAtma diventa il ParamAtmA. “Nessuna azione da sola porta al risultato; i risultati sono accordati da Ishvara “. In tal senso, non si sostiene l’idea che l’azione mentale del nidhidhyAsana produca automaticamente il grande risultato di Brahma-nirvANaM.

La funzione di MayA di nascondere le cose si chiama ‘tirodhAnaM’. In questo momento il vero Brahman che siamo è * tirohitaM *, cioè nascosto da noi. La cosa nascosta si svela (?) con il dhyAna del ParamAtmA (la meditazione sull’Atman supremo) – così dice BrahmasUtra, ma immediatamente, per paura che possiamo pensare che sia una conseguenza automatica, aggiunge, chiarendo ogni confusione, “Questo nascondimento e la schiavitù (causata dal nascondimento) sono entrambi di Ishvara. Quando pratichiamo nidhidhyAsanaM, la rimozione del nascondimento, la manifestazione della Verità e la concessione della Liberazione, tutto è di nuovo opera di Ishvara “. (III – 2-5). Quando l’Acharya scrive il Bhashya su questo, dice, più esplicitamente: “Questa manifestazione non avverrà automaticamente o spontaneamente per tutti. Solo a quella persona rara che compie uno sforzo intenso nel nidhidhyAsana accade per grazia di Dio “. Non accade spontaneamente per tutti. Ma, Ishvara-prasAdAt samsiddhasya kasyacit eva Avirbhavati – ‘Per grazia di Dio è rivelata solo a quella persona rara che ha raggiunto il più alto risultato’. L’Acharya, come conclusione del suo prakaraNa-granthas, cioè il Vivekachudamani (476/477) ha dato il posto più alto alla Grazia di Ishvara, persino al di sopra della Grazia del Guru.

[Immagine: il Fanciullo che legge Cicerone (o Cicerone fanciullo che legge) è un affresco di Vincenzo Foppa. Milano, 1464.]

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