Meditazione di Kali Nath. Sul Sacrificio.
Minyak kukang è, letteralmente, l'olio di loris. Va così: un primate minuto, membra piccine coperte di pelo soffice soffice, tutto tenerezza e occhi grandi grandi, è preso ed abbrustolito vivo. Prima di scoppiare fuori dalle orbite seguiti da una buona porzione di cervello cotto, gli occhi fondono in una brodaglia di umori e liquidi: “lacrime”. Queste sono raccolte per essere usate nella stregoneria cambogiana, filtri d'amore per lo più. Il desiderio. Si sa, niente attrae più dell'agonia: il grande magnete universale. Altre lacrime sono così disposte: le donne piangono sotto il vasto mare, gli uomini piangono in cima alle alte montagne. I bambini dilaniati da mastini versano lacrime e sangue si mescolano, reagiscono in acidi che corrodono le porte del Regno, sciolgono in una pozza nauseabonda la redenzione promessa, l'armonia che tutto ricapitola e giustifica è un blob dodecafonico. Eppure lo si sa, gli dei si innamorano della violenza. Tlaloc beve le lacrime dei bambini e le ripiove sulla terra asciutta: ne è generosamente ghiotto. Così le unghie sono scoperchiate e il pianto che poi bagnerà il vasto mondo è raccolto come fanno i saggi del Mutus Liber con la rugiada celeste. Tlaloc lo sugge, se ne inebria e ce lo risputa sopra. Il marchio fisico del soffrire: le lacrime, il sangue, la pelle dello scorticato e gli organi fumanti dei corpi dai corpi estratti. Gli dei si innamorano della violenza e il volto dell'innamorata è potenza ubiqua. Scambio e dono. Prima è moneta di corso per le nostre contrattazioni da mercato con essi, infine vero centro del loro essere divino: là dove sfuma la distinzione fra Dio stesso e Violenza stessa. E la lingua dice “sacrificio” che è “rendere sacro” – per mezzo della violenza – ma non dice niente. Si sente però il lezzo del corpo e delle senzanumero pene che secerne: ambasce e lacrime. Il Vir dolorum piange, sanguina, suda sangue... si cagherà addosso dopo il lemà sabactàni? Non lo escludiamo.