Antichità Greco Romana,  Filosofia

L’Uno e la Sua contemplazione. Plotino, Enneadi

Il principio è l’Uno

Tutti gli enti sono enti per l’Uno sia quelli che sono tali in primo grado [le idee], sia quelli che partecipano in qualche modo dell’Essere [i corpi]. Che cosa sarebbero, infatti, se non fossero uno? poiché nessuno di essi, privato della sua unità, non è più quello. Per esempio: non c’è l’esercito se non è uno, né sono il coro o il gregge, se non sono uno; neppure sono la casa o la nave se non hanno unità, poiché la casa e la nave sono uno e, tolta l’unità, la casa non sarebbe più casa, né la nave più nave. Così le grandezze continue non sarebbero se in esse non fosse presente l’uno: infatti se vengono divise, in quanto perdono l’unità, perdono il loro essere.
Inoltre, anche i corpi delle piante e degli animali, essendo uno ciascuno, se sfuggono all’unità, si dividono in molte parti e perdono l’essere che avevano; e se diventano qualcosa di diverso, anche il nuovo essere esiste in quanto uno. C’è la salute in quanto il corpo si accorda nell’unità; c’è la bellezza quando la natura dell’uno armonizza le parti; c’è la virtù dell’anima quando le sue potenze si fondono in unità e concordia.
La sua infinitezza dipende dal fatto che Egli non è «più di uno» e che non c’è nulla che possa limitare qualcuna delle cose che sono in Lui; proprio perché è Uno, Egli non è né misurabile né numerabile. Egli non trova un limite né in altri né in Se Stesso, poiché se così fosse, sarebbe dualità. Non ha dunque figura, in quanto non ha parti né forma.
Quanto alla sua autosufficienza, nessuno potrà negarne l’unità. Infatti, se fra tutti gli esseri Egli è il più dotato e il più autosufficiente, ne consegue che Egli non ha assolutamente bisogno di nulla. Tutto il molteplice e il non-uno è manchevole perché consta di molti: perciò la sua essenza ha bisogno dell’unità; l’Uno, invece, non ha bisogno di se stesso perché Egli stesso è uno. Ciò che è molteplice ha bisogno di tutte le cose che appartengono al suo essere; e poi, ogni cosa che è in esso esiste insieme con le altre e non sta in se stessa, poiché si mostra bisognosa delle altre; e così, nel singolo come nel tutto, un tale essere è manchevole. Ora, se è vero che deve esserci qualcosa di assolutamente sufficiente a se stesso, questa cosa non può essere altri che l’Uno, il quale è tale da non essere manchevole né rispetto a se stesso né rispetto ad altri.
Di fatto, a Lui non manca nulla né per avere l’essere né per avere il benessere né per possedere il suo fondamento: poiché, essendo causa per le altre cose, Egli non trae ciò che è da queste cose; quanto poi al benessere potrebbe questo trovarsi fuori di Lui? Insomma, per Lui il benessere non è accidentale, ma è Lui stesso. […].
Ma chi è Principio non ha bisogno delle cose che vengono dopo di lui, poiché il principio del Tutto non ha bisogno di questo Tutto. In realtà, ciò che è bisognoso, è bisognoso in quanto tende al suo principio; ma se l’Uno è bisognoso, può cercare evidentemente questo soltanto: di non essere Uno. Sicché Egli avrebbe bisogno del suo distruttore! Ma tutto ciò che noi chiamiamo bisognoso, è bisognoso di bene: ha bisogno cioè di chi lo conservi. Perciò nulla è bene per l’Uno, e quindi non avrà voglia di nessun bene, anzi Egli è Super-Bene, e non è bene per se stesso, ma è bene per gli altri esseri che possono parteciparne. E neppure Egli è pensiero, altrimenti in Lui ci sarebbe alterità. E neppure è movimento, poiché Egli è prima del movimento e prima del pensiero. Infatti, a che cosa dovrebbe pensare? A se stesso? Ma allora, prima del pensiero, dovrebbe essere ignorante e dovrebbe ricorrere al pensiero per conoscersi, Egli che basta a se stesso! Perciò in Lui non ci sarà mai ignoranza, in quanto Egli non conosce né pensa se stesso: poiché l’ignoranza sussiste quando esiste un secondo essere e l’uno ignora l’altro. Ma Colui che è solo non conosce nulla, e nemmeno ha qualcosa da ignorare; invece, essendo uno e con se stesso, non ha bisogno di pensare se stesso.

Dal momento che c’è un’origine [un principio, arché], tutto ne deriva senz’altro, immediatamente; ed è ben detto che non bisogna cercare alcuna causa di tale origine, che è tale nella sua perfezione da fare tutt’uno col fine: essa è insieme origine e fine, è tutt’insieme con se stessa e non ha bisogno di nulla.

L’uno… era soltanto la potenza di tutte le cose. Ma che senso ha questa potenza? Certamente non quello in cui si dice che la materia è in potenza, poiché questa, essendo passiva, riceve soltanto; ma così avremmo senz’altro il contrario di «generare».

Il principio (l’Uno) è inesprimibile

Qualora questo indivisibile assoluto dovesse dire (ciò che è) se stesso, dovrebbe in primo luogo dire le cose che è; in tal modo, per essere uno, sarebbe anche molti. Se dicesse «sono questo» e con «questo» intendesse qualcosa di diverso da sé, direbbe il falso; se invece intendesse qualcosa di accidentale, direbbe di essere molti oppure direbbe «sono sono» e «io io».
Forse anche il nome uno non è altro che la negazione del molteplice… Se l’uno, sia come nome che come cosa designata, avesse un senso positivo, esso sarebbe meno chiaro che se non gli si desse alcun nome.
Poiché nulla possiamo dire di lui… dentro i limiti del possibile cerchiamo di dare, così fra noi, un cenno su di lui.
Anche quaggiù noi riusciamo a comprendere spesso persino chi tace, da un semplice sguardo.

Appunto perché l’essenza dell’Uno è la generatrice di tutte le cose, essa non è nessuna di esse: perciò essa non è «qualcosa», né è qualità, né quantità, né Intelligenza, né Anima; non «in movimento» e nemmeno «in quiete»; non è «in uno spazio» né «in un tempo»; essa è in sé solitaria, tutta chiusa in se stessa, o meglio, è l’Informe prima di ogni forma, prima del moto e prima della quiete: poiché tali proprietà appartengono all’essere e lo fanno molteplice. Ma, se Egli non è in moto, perché non è nemmeno in quiete? Perché l’una di queste due alternative, o ambedue, aderiscono necessariamente solo all’essere, e poi, ciò che è in quiete è quieto in virtù della quiete ma non si identifica con essa: perciò quiete e moto gli aderirebbero solo per accidente, ed Egli non sarebbe più semplice.
Anche quando lo riconosciamo come causa, non vuol dire che noi gli attribuiamo un accidente: questo termine vale soltanto per noi, in quanto noi abbiamo qualcosa da Lui, mentre Egli è sempre in se stesso.
Chi parla esattamente non dovrebbe dire di Lui né «questo» né «quello».

[…] Noi siamo travagliosamente incerti sulle parole che dobbiamo adoperare e parliamo dell’Ineffabile ed escogitiamo dei nomi con il desiderio di denominarlo, come ci è possibile a noi stessi. Forse, anche il nome «Uno» non è altro che la negazione del molteplice. Perciò anche i Pitagorici, fra loro, lo chiamarono simbolicamente Apollo per significare la negazione della molteplicità «a-pollon»: infatti, se l’Uno, sia come nome che come cosa significata, avesse un senso positivo, esso sarebbe meno chiaro che se non gli si desse alcun nome.
Forse il nome «Uno» gli fu dato affinché l’indagatore, cominciando da ciò che significa la massima semplicità, finisse poi col negargli anche questo, pensando che esso, benché scelto felicemente dal suo inventore, non era degno di rivelare quella natura, poiché Colui non può essere compreso né con l’udito né da chi ascolta.

In che maniera dunque, e che cosa dobbiamo pensare del Primo, se Egli resta immobile? Un irradiamento che si diffonde da Lui, da Lui che resta immobile, com’è nel sole la luce che gli splende tutt’intorno; un irradiamento che si rinnova eternamente, mentre Egli resta immobile. Tutti gli esseri, finché sussistono, producono necessariamente dal fondo della loro essenza, intorno a sé e fuori di sé, una certa esistenza […]: il fuoco effonde da sé il suo calore, e la neve non conserva il freddo soltanto dentro di sé; un’ottima prova di ciò che stiamo dicendo la danno le sostanze odorose, dalle quali, finché sono efficienti, deriva qualcosa tutt’intorno, di cui gode chi gli sta vicino.

L’Intelligenza divina (il mondo delle idee) generata dal principio è infinitamente complessa (al di là della non contraddizione).

E, invero, gli esseri dell’Intelligenza [le idee: essere, moto, quiete ecc.], pur essendo « molti » sono « uno »; e, pur essendo « uno », sono, altresì, « molti » in virtù della loro natura che non ha limiti. E, così, « molti » in « uno »; «uno » in « molti »; e tutti esistono, simultaneamente. Il loro atto, se è riferito all’universale, avviene con tutto il loro essere; ma, anche se è riferito al particolare, avviene pure con tutto il loro essere.
Ecco: l’Essere basta di per sé anche per ogni singolo individuo e serra in sé tutte le anime e tutti gli spiriti. Infatti, Egli è uno ma d’altro canto è pur infinito: è tutto a un tempo e reca in sé il singolo, distinto, e, nondimeno, non-distinto per via di separazione. In quale altro senso, infatti, l’Essere potrebbe dirsi infinito se non in questo che possiede tutto a un tempo, vale a dire ogni vita ed ogni anima ed ogni spirito? Ognuno di questi esseri, però, non è separato dagli altri per via di barriere; ed ecco perché l’Essere è, altresì, Uno .

Questa molteplicità raccolta insieme – che è appunto il mondo intelligibile – è in vicinanza del Primo; anzi, la ragione afferma che essa esiste necessariamente, se è vero che anche l’esistenza dell’Anima si può dimostrare. Ma questa molteplicità dell’Intelligenza è qualcosa di più importante dell’Anima; e tuttavia, l’Intelligenza non è il Primo poiché non è né unità né semplicità. Soltanto l’Uno è semplice, cioè il principio del tutto.
Concludendo: ciò che è anteriore a quanto v’è di più prezioso nel campo dell’essere, poiché è necessario che ci sia qualcosa prima dell’Intelligenza, la quale vorrebbe essere una ma non lo è ed è appena uniforme – intendo dire che l’Intelligenza ha la forma dell’Uno poiché per lei non c’è frazionamento ma è tutta raccolta in se stessa, senza divisioni e scissioni perché vicina a Lui, subito dopo di Lui, ed osò staccarsi, non so come, dall’Uno! – quella meraviglia, che è anteriore all’Intelligenza è veramente l’Uno.
Lassù [nell’Intelligenza] il Sole è tutti gli astri, e ogni stella è un Sole e tutti gli altri assieme. Eppure ogni cosa è diversa e, insieme, tutte le cose appaiono in essa… Lassù ciascun cosa nasce dal tutto e, insieme, è singola ed è tutto: appare infatti come una parte, ma a una vista acuta si manifesta come tutto.
L’intelligenza… rimane sempre identica a se stessa, ma rimane una e identica non nella singola parte ma nel tutto, poiché anche ciascuna parte non è una ma si divide a sua volta all’infinito… Poiché (ogni elemento) è tutto identico e tutto diverso, nessun diverso gli può mancare.

E’ evidente che l’Essere, nella sua totalità, in quanto racchiude in sé tutti gli esseri, è molteplicità in grado superiore ed è perciò diverso dall’uno; e se possiede l’Uno, lo possiede per partecipazione soltanto. L’Essere, poi, possiede anche vita e intelligenza, poiché non è una cosa morta: esso è dunque molteplicità. Se l’Essere fosse soltanto Intelligenza, sarebbe molteplicità anche in questo caso; e lo è a maggior ragione, poiché deve racchiudere in sé le idee; e nemmeno l’idea è unità ma è piuttosto numero, sia la singola idea, sia l’insieme delle idee; e così essa è unitaria come è unitario il cosmo.
L’Uno è dunque assolutamente Primo, ma non sono primi l’Intelligenza, le idee, l’essere: ogni idea infatti implica molti elementi: è un composto ed è perciò una realtà posteriore, poiché quegli elementi, di cui consta, sono, per se stessi, anteriori. […] Dunque, se è il pensante e il pensato, sarà duplice, non semplice, e, per conseguenza, non sarà l’Uno; Essendo dunque così varia, L’Intelligenza è molto lontana dall’essere Uno.
Concludiamo perciò che l’Uno non può essere la Totalità, poiché allora non sarebbe Uno, né Intelligenza; anche in questo caso, infatti, sarebbe «tutti gli esseri»; e nemmeno è l’Essere, poiché l’essere è la Totalità.
Questi, dunque, non è l’Intelligenza, ma è anteriore all’Intelligenza. Poiché l’Intelligenza è «qualcosa» che fa parte degli esseri. Quello, invece, non è «qualcosa», ma è anteriore a qualsiasi cosa; e nemmeno non è essere, poiché l’essere possiede – diciamo così – una forma, la forma dell’essere. Ma l’Uno è privo di forma, privo anche della forma intelligibile.

Per conoscere il principio l’anima (dell’uomo) deve conoscere se stessa

Bisogna credere certamente che alcuni antichi e fortunati filosofi abbiano scoperto la verità. Giova però esaminare chi mai l’abbia veramente raggiunta e in che modo anche noi possiamo riconoscerla.
Se Porfirio non mi interrogasse io non avrei da risolvere problemi e così non avrei da dire nulla che potesse essere scritto.

Eraclito, che ci invita alla ricerca… , ci ha offerto immagini, ma non si è curato di renderci chiaro il suo logos, forse perché bisogna che ciascuno cerchi da sé, come egli stesso aveva trovato cercando.
E su quale argomento potremmo discutere più ampiamente ed esaminare meglio che su questo?… Iniziando questa ricerca, noi obbediamo al precetto del dio che ci comanda di conoscere noi stessi. Se vogliamo cercare e trovare ogni altra cosa, è giusto che ricerchiamo chi è colui che ricerca: desiderando così di cogliere l’amorosa visione delle cose supreme.

La vera conoscenza implica il riconoscimento della propria similitudine o, perfino, identità col principio

E’ necessario che l’occhio si faccia eguale e simile all’oggetto per accostarsi e contemplarlo. L’occhio non vedrebbe mai il sole (helion) se non fosse già simile al sole (helioeides), né l’anima vedrebbe il bello se non fosse bella.

Fu detto giustamente: «pensare (noein) ed essere sono il medesimo» (Parmenide), «la scienza delle cose immateriali è identica al suo oggetto» (Aristotele), e «investigai me stesso» (Eraclito).

[L’anima è quindi scissa in due parti di cui] la parte che conosce, quanto più conosce… diventa una cosa sola con l’oggetto conosciuto. Infatti se rimanessero due, il soggetto sarebbe diverso dall’oggetto, sicché l’uno sarebbe in certo modo accanto all’altro e l’anima non avrebbe ancora superato questa duplicità, come quando ci sono logoi nell’anima che non agiscono.
Poiché la contemplazione procede dalla natura all’anima e dall’anima all’intelligenza e diviene sempre più affine e unita al contemplante, poiché nell’anima virtuosa l’oggetto conosciuto diventa identico al soggetto in quanto essa aspira all’intelligenza, è evidente che nell’intelligenza soggetto e oggetto sono il medesimo, non per affinità, come nelle anime migliori, ma per essenza (ousia), in quanto (= come diceva Parmenide) «essere e pensare (= intendere, noein) sono il medesimo». Il soggetto non differisce dall’oggetto altrimenti dovrà esserci a sua volta qualcos’altro, in cui l’uno non differisca dall’altro.

Uno è divenuto intelligenza quando, abbandonate le altre …cose che gli appartenevano, guarda l’intelligenza, cioè guarda se stesso per mezzo di se stesso. Egli è dunque intelligenza e vede se stesso.
La contemplazione deve essere identica alla realtà contemplata… o non ci sarebbe verità.

Come ciò che è grandezza può pensare ciò che non è grandezza? e col divisibile pensare l’indivisibile?… Non è certamente in compagnia della carne o della materia che si può astrarre il cerchio, il triangolo, la linea, il punto. E’ necessario che l’anima si astragga, in questo caso, dal corpo: essa perciò non può essere corpo. E’ inesteso, io penso, anche il bello e il giusto: perciò è inesteso anche il pensiero di queste cose.
Chi vuol percepire qualcosa dev’essere uno in se stesso e deve cogliere ogni oggetto col medesimo punto.

La parte conoscente, quanto più conosce… diventa una cosa sola con l’oggetto conosciuto.
Non si può diventare diversi da ciò che si è.

La conoscenza del Principio implica, dunque, trasformazione di sé, guidata da amore

L’anima, quando si sia infiammata d’amore per lui, si spoglia di qualsiasi forma che possieda, perfino di quella intelligibile… perché chi abbia qualche altro interesse e si dedichi ad esso, non può né guardare a lui, né accordarsi con lui. L’anima, per accoglierlo da solo a solo, non deve avere nulla per sé, né di bene, né di male. Quando l’anima riesca a raggiungerlo ed egli venga a lei, o meglio, le manifesti la sua presenza… allora essa lo vede apparire improvvisamente in sé: nulla c’è ormai tra l’anima e il bene, né essi sono più due ma una cosa sola; e nemmeno potresti distinguerli finché egli è presente; ne sono quaggiù un’immagine gli amanti che desiderano fondersi insieme nel loro amore.

L’amante [… ] ha qualche reminiscenza della bellezza, ma, poiché essa è trascendente, non sa comprenderla, mentre rimane attonito dinanzi al fascino delle bellezze visibili. Bisogna perciò insegnargli a non lasciarsi attrarre da un solo corpo, ma a pensare a tutti i corpi, mostrando che la bellezza è identica in tutti e differente da essi, che essa viene a quelli da altrove e che «si manifesta» di più in esseri differenti «dai corpi» come nelle belle occupazioni e nelle bene leggi – e così lo si avvezza a trovare l’oggetto dell’amore in esseri incorporei – come pure nelle arti, nelle scienze, nelle virtù. Poi bisogna fargli vedere l’unità (del Bello) e insegnargli come si forma; indi salire gradualmente dalle virtù all’Intelligenza e all’Essere; e quindi percorrere la via superiore.

L’anima che si volge verso l’alto è l’intelligenza; quella che si volge verso il basso è il complesso delle sue potenze che variano a seconda della sua discesa… Ma forse quelle che abbiamo chiamato parti inferiori dell’anima sono soltanto una sua immagine.
Ciascuna anima è diversa perché contempla qualcosa di diverso ed è e diventa ciò che contempla.
E’ necessario che noi stessi diveniamo intelligenza e facciamo di noi stessi visione.

Ma quando l’anima desidera vedere solo per se stessa e, così contemplando, si raccoglie in unità ed è una perché è una con Lui, non crede di possedere ciò che ricerca perché non è diversa dall’oggetto del suo pensiero. Proprio così deve fare colui che si avvia a filosofare intorno all’Uno. Ora, poiché noi andiamo cercando l’Uno e scrutiamo il Principio di tutte le cose, cioè il Bene e il Primo, non dobbiamo allontanarci dai primi esseri per cadere nelle cose ultime, ma dobbiamo elevarci ai primi svincolandoci dalle cose sensibili che sono le ultime, e da qualunque malizia; proprio perché desiderosi di avvicinarci al Bene, dobbiamo salire al Principio che è immanente in noi e raccoglierci, via dalla molteplicità, nell’unità, per raggiungere la contemplazione del Principio e dell’Uno.
è necessario dunque che l’anima si trasformi in Intelligenza e tutta si affidi e riposi in lei per poter accogliere, pienamente desta, ciò che l’Intelligenza vede e, con questo, per poter contemplare l’Uno senza ricorrere a nessuna sensazione o a cosa che derivi dal senso: è necessario con pura Intelligenza, anzi col principio stesso dell’Intelligenza, contemplare il Purissimo.
Ma nel contemplare, non rivolgere al di fuori il tuo pensiero. Egli [l’Uno] infatti non è in un punto qualsiasi, privando gli altri di sé, ma è presente in chi può toccarlo, e in chi non può non è presente. Come non è concesso di pensare qualcosa a chi ne pensa un’altra e ad essa attende, ma non deve sovrapporre nient’altro a ciò che pensa per poter trasformarsi realmente nell’oggetto pensato, così bisogna comportarsi anche qui, poiché non è dato, a chi abbia già nell’anima l’impronta di un’altra cosa, pensare l’Uno, finché questa impronta è operante; anche perché l’anima, mentre è presa e dominata da altre cose, non può accogliere in sé l’impronta dell’oggetto contrario; all’inverso, come si dice della materia, che cioè essa deve essere spoglia di qualsiasi qualità, se vuole accogliere le impronte di tutte le cose, così, in un grado ancor superiore, l’anima dev’essere nuda di forme, se veramente desidera che nulla intervenga a ostacolare la pienezza e la folgorazione in lei da parte della Natura prima [l’Uno].

E’ necessario che chi vuol conoscere che cosa sia l’intelligenza si ponga davanti agli occhi l’anima e dell’anima ciò che è più divino… Anzitutto elimina il corpo dall’uomo, e perciò anche da te stesso; elimina poi anche l’anima che lo plasma e, insieme, la sensibilità, nonché le passioni e le ire e le altre futilità che ci fanno piegare verso ciò che è mortale. Quello che rimane è ciò che noi abbiamo chiamato immagine dell’intelligenza – cioè la dianoia, il ragionamento – … L’anima deve cercare, sillogizzando (= ragionando), di quale natura sia l’intelligenza; l’intelligenza, invece, si intuisce da sé, senza sillogizzare su se stessa.

L’anima deve staccarsi da tutte le cose esteriori, rivolgersi alla sua interiorità, completamente, non piegarsi più verso qualcosa di esterno, ma spegnendo ogni conoscenza, prima attraverso la propria disposizione, poi, di fatto, negli stessi contenuti di pensiero, spegnendo altresì la conoscenza di se stessa, deve abbandonarsi alla contemplazione di lui.
Mi sforzo di ricondurre il divino ch’è in noi al divino che è nel tutto.

Tu eri già tutto, ma poiché qualche cosa ti si è aggiunta in più del tutto, tu sei diventato minore del tutto per questa aggiunta stessa. Tale aggiunta non aveva nulla di positivo (infatti che cosa si potrebbe aggiungere a ciò che è tutto?), era interamente negativa. Chi diventa qualcuno non è più il tutto, gli aggiunge una negazione. E ciò dura finché non si scarti tale negazione. Dunque, il tutto ti sarà presente… Non ha bisogno di venire per essere presente. Se non è presente, è perché tu ti sei allontanato da lui. Allontanarsi, non significa lasciarlo per andare altrove, poiché è lì; ma è voltargli le spalle quando è presente.
Tu sei già arrivato nel Tutto e non indugi più in una sua parte e non dici più di te stesso: «Come sono grande! », ma lasci da parte questa grandezza per diventare «tutto». Eppure eri «tutto» anche prima; ma poiché ti sei aggiunto qualcosa d’altro oltre il Tutto, tu, proprio per questa aggiunta, sei diventato piccolo, poiché l’aggiunta non veniva dal Tutto – al quale non si può aggiungere nulla! – bensì dal non-tutto. Ma se uno s’è fatto qualcuno per mezzo del non essere, egli è non-tutto, e sarà tutto quando avrà eliminato il non-essere.
Tu dunque aumenti te stesso quando getti via le altre cose e il Tutto ti si fa presente quando le hai eliminate; ma a chi resta con le altre cose, esso non si manifesta. Egli però non è venuto per starti vicino, ma sei tu che te ne vai quando Egli non ti è presente.
E se tu te ne sei andato, non sei andato via da Lui – poiché Egli è sempre presente.
Chi vuol conoscere la sua natura deve batter via le cose aggiunte.

Dicendo queste cose, possiamo esser contenti e andarcene? No: l’anima soffre ancora le sue doglie, e ancora di più. Forse è bene che essa finalmente partorisca, dopo essersi slanciata verso lo Stesso (autos) nel momento culminante dei suoi dolori. Ma dobbiamo forse incantarla un’altra volta qualora riusciamo a scoprire un incantesimo per le sue doglie. E forse l’incantesimo potrebbe nascere persino dai ragionamenti fatti finora, se li volessimo ripetere. E quale nuovo incantamento potremo trovare? L’anima, che corre dietro a tutte le verità, anche a quelle di cui soltanto partecipiamo, si eclissa tuttavia quando si esige che essa parli e pensi logicamente, dal momento che è necessario che il pensiero discorsivo, per poter dire qualcosa, colga i concetti l’uno dopo l’altro: solo così infatti si ha il processo del pensiero. Ma in chi è assolutamente semplice, quale processo è possibile? Nessuno: ma basterà un semplice contatto interiore. Ma durante il contatto – almeno finché avviene – non si avrà affatto né la possibilità, né il bisogno di dire: solo più tardi si potrà ragionarci sopra. Ma in quell’istante bisogna credere di aver visto, quando l’anima coglie, improvvisamente, la luce. Poiché questa luce proviene da lui (autos = Sé), o meglio è lui stesso. In quell’istante bisogna credere che egli sia presente, allorché, come un altro dio, avvicinandosi alla casa di chi lo ha invitato, lo illumini; e se non si avvicina, non lo illumina. è così: un’anima non illuminata è priva di Dio; ma se è illuminata, possiede ciò che cercava. Questo è il vero fine dell’anima: toccare quella luce e contemplarla mediante quella luce stessa, non con la luce di un altro, ma con quella stessa con la quale essa vede. Poiché la luce, dalla quale è illuminata, è la luce stessa che essa deve contemplare. Nemmeno il Sole si vede mediante una luce diversa. Ma come questo può avvenire? Elimina ogni cosa.

Fonte:
www.liceoumberto.eu/word/plotino.doc

Testo:
Plotino. Enneadi. [Bompiani]

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