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Leggenda del gioiello chiamato Syamantaka

Si dice che chi guarda la luna nella notte del Ganesh Chaturthi sarà falsamente accusato di furto o di un crimine simile. Se qualcuno vede inavvertitamente la luna in questa notte, ha la possibilità di porre rimedio alla situazione, ascoltando (o recitando), la storia del gioiello syamantaka. Questa storia si può trovare nei Purana Bhagavata e Vishnu.

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Viveva nella provincia di Dvaraka-dhama un re di nome Satrajit. Grande adoratore del deva del sole, egli aveva ottenuto da lui, come benedizione, un gioiello chiamato syamantaka, che fu più tardi all’origine di un malinteso tra il re e la dinastia Yadu, malinteso che fu risolto quando Satrajit, di sua spontanea volontà, offrì a Krishna la mano di sua figlia Satyabhama e il gioiello syamantaka. Alla storia di questo gioiello è legata anche quella del secondo matrimonio di Krishna, con Jambavati, la figlia di Jambavan. […]

Grande adoratore del deva del sole, il re Satrajit si era gradualmente legato a lui in un’amicizia molto intima, e il deva, soddisfatto, gli fece dono di un gioiello eccezionale, il syamantaka. Montato su una collana al centro di un medaglione, il gioiello dava a Satrajit l’esatta parvenza del deva del sole, ed è così che egli entrò nella città di Dvaraka. Vedendolo, tutti credettero che fosse il deva del sole in persona venuto a far visita a Krishna, e poiché sapevano che Dio, la Persona Suprema, riceveva a volte la visita dei deva, tutti, eccetto Krishna, furono tratti in inganno dal suo aspetto. Tutti conoscevano il re Satrajit, ma nessuno lo riconobbe sotto lo splendore abbagliante del syamantaka. […]

Quando Satrajit entrò a Dvaraka gli abitanti si sentirono molto orgogliosi, perché sebbene Krishna vivesse nella loro città come un uomo comune, i deva non mancavano di venirLo a onorare. Andarono dunque a informare Sri Krishna che il deva del sole, circondato da un alone sfolgorante, era venuto per incontrarLo, confermando così che l’arrivo del deva del sole a Dvaraka non era poi una cosa così straordinaria, perché tutti gli esseri dell’universo che cercavano Dio, la Persona Suprema, sapevano che Egli era apparso nella famiglia degli Yadu e viveva a Dvaraka come uno dei suoi componenti. I cittadini espressero tutta la loro gioia per l’occasione, e Krishna, soddisfatto di loro, dopo averli ascoltati sorrise e li informò a Sua volta che colui che essi avevano descritto come il deva del sole era in realtà il re Satrajit, venuto a Dvaraka per fare sfoggio della sua opulenza, che gli veniva da un gioiello molto prezioso, dono del deva del sole.
Ma Satrajit non si curò di far visita a Krishna. Troppo preso dal suo gioiello syamantaka, lo installò in un tempio e incaricò dei brahmana perché gli rendessero culto. Bell’esempio, questo, della cecità di un uomo che volge la sua adorazione a un oggetto materiale.[…] In seguito Krishna chiederà a Satrajit il gioiello syamantaka, ma il re Glielo rifiuterà e continuerà ad adorarlo per raggiungere i suoi scopi. E chi non avrebbe reso culto a quel gioiello? Il syamantaka aveva il raro potere di produrre ogni giorno un’enorme quantità d’oro. L’oro si misura in bhara, che corrisponde a 16 libbre d’oro secondo la misura vedica. Il syamantaka produceva circa 170 libre d’oro al giorno. Oltre a questo, i Veda c’informano che nel luogo dove si rende culto a questo gioiello non si conosce la carestia e che la sua presenza allontana ogni epidemia, ogni malattia e ogni altra calamità. Sri Krishna voleva insegnare al mondo che il meglio di ogni cosa dev’essere offerto a colui che regna sul paese, e poiché a quel tempo era sul trono il re Ugrasena, sovrano di numerose dinastie e nonno di Krishna, Questi chiese a Satrajit di far dono al re del gioiello syamantaka. Ma Satrajit, adoratore dei deva, era diventato troppo materialista per poter accettare la richiesta di Krishna, e così pensò fosse meglio rendere culto al gioiello per ottenere le sue 170 libbre d’oro al giorno. […]

Satrajit rifiutò di obbedire a Krishna e si tenne ciò che possedeva. Passò qualche tempo, quando un giorno Prasena, il fratello minore di Satrajit, per far mostra dell’opulenza di cui godeva la sua famiglia s’impadronì del gioiello e se lo mise al collo, inoltrandosi poi a cavallo nella foresta. Si stava pavoneggiando in su e in giù quando un enorme leone lo assalì e lo uccise insieme al cavallo, portandosi via il gioiello nella sua grotta. La notizia giunse all’orecchio di Jambavan, il re gorilla, che a sua volta uccise il leone e s’impadronì del gioiello. Grande devoto del Signore fin dai tempi del re Ramacandra, Jambavan non considerò il prezioso gioiello un oggetto di grande utilità e lo donò al figlio perché ci giocasse.

Quando Satrajit si accorse che suo fratello Prasena non era rientrato a Dvaraka andò su tutte le furie, e poiché ignorava le circostanze della sua morte, credette che Krishna l’avesse ucciso per strappargli il gioiello che non aveva ottenuto, e fece circolare questa voce per tutta la città.

Questa calunnia attecchì un po’ dovunque, come un fuoco selvaggio. Krishna non gradì queste false accuse e decise di andare personalmente nella foresta per ritrovare il gioiello syamantaka. Accompagnato da alcuni importanti cittadini di Dvaraka, Krishna partì alla ricerca di Prasena e lo trovò morto, ucciso dal leone; poi trovò il corpo del leone, ucciso da Jambavan (che porta generalmente il nome di Rksa). Tutti videro che il leone era stato ucciso dalla mano di Rksa, senza l’aiuto di alcuna arma poi scoprirono l’entrata di una grande galleria sotterranea che si diceva portasse alla dimora di Rksa. Krishna sapeva che gli abitanti di Dvaraka erano atterriti all’idea di entrare in quella buia galleria, perciò chiese loro di rimanere fuori a Lui solo entrò. Giunto all’altro capo della galleria, Krishna vide il figlio di Rksa che giocava col preziosissimo syamantaka e Si fece avanti per prenderlo, ma la nutrice che vegliava sul piccolo, vedendosi davanti Krishna, fu presa dal panico al pensiero che il gioiello potesse essere rubato e si mise a gridare.

Quelle grida richiamarono l’attenzione di Jambavan, che accorse in preda alla collera, e benché fosse un grande devoto di Sri Krishna, l’ira impedì a Jambavan di riconoscere il suo Signore e gli fece credere di trovarsi d fronte a un uomo comune. Quest’episodio ci fa ricordare un insegnamento della Bhagavad-gita, e precisamente il consiglio che il Signore dà ad Arjuna: liberati dalla collera, dall’avidità e dalla cupidigia per elevarti al piano spirituale. Cupidigia, collera e avidità solcano il cuore con linee parallele e frenano ogni progresso sulla via spirituale.

Jambavan, che non aveva riconosciuto il Suo Signore, Lo sfidò al combattimento. Ne seguì una lotta accanita, come quella di due avvoltoi che si contendono un cadavere. Dapprima Krishna e Jambavan combatterono con le armi, poi con le pietre, poi con grandi alberi; in seguito si lanciarono in un furioso corpo a corpo e finirono con prendersi a pugni: ogni colpo risuonava come una folgore. Ognuno era sicuro della propria vittoria, ma la lotta continuava, incerta, senza sosta, giorno dopo giorno, notte dopo notte, e così per ventotto giorni.

Jambavan era l’essere più forte del suo tempo, ma i ripetuti colpi del Signore lo sfibrarono e a poco a poco le forze lo abbandonarono. Sfinito, madido di sudore, Jambavan non credeva ai suoi occhi: chi era quell’avversario che l’aveva così indebolito? Consapevole della propria forza sovrumana, quando si sentì piegare dalla fatica sotto i colpi di Krishna, Jambavan capì che quell’avversario non poteva essere che il suo adorato Signore, Dio stesso, la Persona Suprema. […]
Rivolse dunque a Krishna queste parole: “Caro Signore, ora capisco chi sei Tu. Tu sei Dio, la Persona Suprema, Sri Visnu, fonte di potenza, ricchezza, fama, bellezza, saggezza e rinuncia .” Il Vedanta-sutra ribadisce quest’affermazione: il Signore Supremo è la fonte di tutto ciò che esiste. Jambavan riconobbe Sri Krishna come la Persona Suprema, Sri Visnu: “O Signore, di coloro che creano nell’universo Tu sei il creatore.” […] Jambavan continuò: “Tu non sei solo il creatore degli pseudo-creatori, ma anche il creatore degli elementi materiali che essi manipolano.” […]

Jambavan continuò: “O Signore, anche il tempo, che riunisce tutti gli elementi fisici, è il Tuo rappresentante. Tu sei il tempo supremo, in cui ogni creazione vede la luce, è mantenuta e infine è distrutta. Non solo il tempo fa parte di Te, ma anche gli elementi fisici e le persone che li manipolano. L’essere vivente non ha dunque alcuna indipendenza nelle sue creazioni. Studiando gli elementi nella loro giusta prospettiva, tutti possono vedere che Tu sei il maestro supremo, il Signore di tutto ciò che esiste. Caro Signore, ora riesco a capire che Tu sei Colui che io adoro col nome di Sri Ramacandra. Quando il mio Signore volle costruire un ponte sull’oceano, io vidi coi miei occhi l’acqua che si gonfiava e si agitava semplicemente per un Suo sguardo su di essa. Tutto l’oceano e anche gli esseri più giganteschi -le balene, gli alligatori e i pesci timingila – ne furono scossi, tanto che l’oceano fu costretto a offrire a Ramacandra un passaggio fino all’isola di Lanka. Ancora oggi tutti conoscono la storia di questo ponte che andava da Capo Comorin a Sri Lanka. E chi non sa che l’intero regno di Ravana fu devastato dal fuoco? Nella Tua forma di Sri Ramacandra io Ti ho visto combattere contro Ravana: ogni parte del suo corpo fu tagliata a pezzi dalle Tue frecce aguzze, e la sua testa cadde sulla faccia della terra. Ora so che Tu non sei altri che il mio Signore, Sri Ramacandra. Nessun altro possiede questa smisurata potenza, nessun altro avrebbe potuto sconfiggermi in questo modo.”

Soddisfatto dalle preghiere e dalle lodi di Jambavan, Sri Krishna passò sul suo corpo il palmo della Sua mano di loto per alleviare i dolori che l’affliggevano, e subito Jambavan sentì svanire tutta la fatica di quel lungo combattimento. Poi Krishna gli rivelò in tutta franchezza il motivo della Sua venuta e nel rivolgersi a lui lo chiamò “re Jambavan”, perché era lui che regnava sulla foresta, e non il leone, che egli aveva ucciso senz’armi, a mani nude. “Re Jambavan, gli disse, sono venuto a chiederti il gioiello syamantaka perché da quando è stato rubato gli uomini di poca intelligenza stanno diffamando il Mio nome.” Jambavan capì subito e per soddisfare il Signore non solo Gli consegnò il gioiello syamantaka, ma fece anche venire sua figlia, Jambavati con Krishna e la consegna del gioiello syamantaka ebbero luogo nella dimora di Jambavan. Erano ormai passati ventotto giorni da quando la lotta era cominciata, e i cittadini di Dvaraka, dopo aver atteso fuori dalla galleria per dodici giorni, conclusero che doveva essere accaduto qualcosa, perciò stanchi e sconsolati fecero ritorno in città.

I componenti della famiglia, specialmente la madre di Krishna, Devaki, Suo padre Vasudeva, la Sua prima sposa Rukmini, e gli amici, i parenti e gli abitanti del palazzo, sprofondarono tutti nel più grande dolore quando videro ornare i cittadini e Krishna non era con loro. Il naturale affetto che sentivano per il Signore li spingeva a insultare Satrajit: era stato lui la causa della scomparsa di Krishna. Tutti insieme andarono a rendere culto alla dea Candrabhaga, implorandola di far tornare Krishna, e la dea soddisfatta, immediatamente li benedì. Krishna, apparve proprio in quel momento, accompagnato dalla Sua nuova sposa, Jambavati, e tutti gli abitanti di Dvaraka e i parenti di Krishna esultarono dalla gioia, come chi vede tornare dal regno della morte un caro parente. E loro che avevano creduto che Krishna Si fosse trovato in difficoltà, e che avevano quasi perso ogni speranza di rivederLo! Per festeggiare la presenza di Krishna e per accogliere la Sua nuova sposa, Jambavati, organizzarono subito un’altra celebrazione.

Il re Ugrasena convocò tutti i re e i capi più importanti, tra cui anche Satrajit. Davanti a tutta l’assemble-a Krishna raccontò come aveva ritrovato il gioiello nella dimora di Jambavan, quindi volle restituirlo a Satrajit, ma il re, che aveva ingiustamente diffamato il Signore, si sentì morire dalla vergogna. Accettò tuttavia il gioiello e rimase là col capo chino, in silenzio, davanti all’assemblea dei re, col gioiello tra le mani. Poi se ne tornò a casa dove meditò sul modo di purificarsi dall’atto abominevole di aver diffamato Krishna. Sapeva di aver commesso un’offesa gravissima, e sapeva che doveva trovare un rimedio per riguadagnare la stima del Signore.

Il re Satrajit non vedeva l’ora di liberarsi dall’angoscia che lo tormentava e che stupidamente lui stesso aveva provocato col suo attaccamento a un oggetto materiale, il syamantaka. Era sinceramente pentito dell’offesa commessa verso Krishna e voleva davvero porvi rimedio. Allora Krishna, dall’interno, diede l’intelligenza necessaria a Satrajit, che decise di offrire a Krishna non solo il gioiello, ma anche la sua meravigliosa figlia Satyabhama in sposa. Aveva forse altra scelta? Cominciò quindi i preparativi per una degna celebrazione. Satyabhama era così bella e virtuosa che Satrajit l’aveva fin allora rifiutata a numerosi principi, in attesa di un pretendente degno di lei.

Infine, per la grazia di Krishna, il re decise di offrirla a Lui.

Soddisfatto di Satrajit, il Signore gli disse che non aveva alcun bisogno del gioiello syamantaka: “E’ meglio lasciarlo nel tempio dove lo tenevi prima, in modo che tutti possano trarne beneficio. La presenza del gioiello a Dvaraka proteggerà d’ora in poi la città dalla carestia, dai danni delle epidemie, dal caldo e dal freddo eccessivi.”

Fonte: http://www.harekrsna.it/libri_on_line/il_libro_di_krishna/capitolo_55.asp

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