Articoli di Beatrice Udai Nath

Rovine e simulacri. Le cattedrali che bruciano.

In realtà io amo guardare le rovine, le cose che bruciano, le assenze e il vuoto. Per me, se è sacro, deve bruciare, per sua natura e vocazione. Se qualcosa mi ispira e mi eleva è perché mi riporta finalmente al vuoto, o lo conferma e lo rafforza.
Però Il Mistero delle Cattedrali di Fulcanelli (che è incentrato sulle immagini alchemiche scolpite in Notre Dame)  è stato il mio libro di formazione, almeno uno dei più importanti, senza il quale, cioè senza quello spirito di visione, non c’è un percorso spirituale tradizionale e non c’è ordine nella propria esperienza interiore. Su quelle pagine, sulle immagini che suggeriva, scattavano le connessioni super-logiche che portano la coscienza, poco più che adolescente, a scoprire l’unione segreta che governa ogni cosa, il grembo delle idee, fecondato dal logos, dove nascono gli dei. Certe esperienze vanno fatte presto, occorre esporsi a queste suggestioni prima dei 25 anni, quando la dura madre è ancora tenera.

Poi, quando alcuni anni dopo finalmente sono entrata a Notre Dame, certo, sono rimasta perplessa di scoprire che quelle figure non erano poi così facilmente visibili e accessibili al visitatore. Piuttosto, ancora eravamo nel regno di Giovanni Paolo II, la cattedrale era tappezzata di gigantografie del papa, che stava per andarci in visita o forse c’era stato da poco, e del suo messaggio antiabortista. Era come entrare in una mega installazione di Bill Viola a tema antiabortista. La roccaforte tecnologicamente avanzata del messaggio di Roma, come a Roma non si sognavano di fare. Tornai altre volte a Parigi, senza tornare a Notre Dame. I custodi dei suoi segreti erano veramente zelanti nel blindare il messaggio già cifrato tra quelle pietre.

D’altronde, invece, nello stesso periodo il Louvre era aggredito da migliaia di visitatori che si precipitavano a vedere la Monna Lisa di Leonardo, dopo che uno scrittorucolo anglosassone aveva pubblicato un libro di successo mondiale che indicava nel dipinto la chiave di non so quale segreto templare e banale. Boh, tipo che Gesù aveva sposato Maddalena, cazzate del genere, che ancora non vedo come dovrebbero cambiare la vita di credenti e non. Ma il segreto vero è proprio che non la cambiano. Perciò il lettore si gratifica sentendosi finalmente depositario di una verità negata e può continuare a macinare il proprio risentimento verso maestri, preti, scuola e storia tutta, colpevoli di macchinare un complotto universale a suo danno, che lui può finalmente sventare senza il loro aiuto, anzi, è il sapere a basso costo dell’uomo qualunque a sbugiardare tutto questo complotto, cancellarne l’efficacia e il potere. Il segreto dovrebbe essere che quel Signore che gli avrebbero insegnato a temere era invece un uomo come lui, l’uomo comune, che ama, si sposa, fa sesso, ecc. In generale, a voler essere ancora più cattivi, i depositari della nuova rivelazione sembravano un po’ in ritardo, anagraficamente, per gettarsi in questa “imitatio”, piuttosto si accontentavano di un’assoluzione senza pentimento. Ma chi se ne frega. Se lo saranno già dimenticato. Adesso stanno combattendo per affermare che la terra è piatta, difendersi da vaccini e scie chimiche, insomma, mettono in pratica la loro catechesi nel mondo reale. E questo, se non amassi le rovine e la distruzione, lo troverei devastante.

Perciò, io non ricostruirei nemmeno il tetto della cattedrale. E’ bella così scoperchiata, con quella luce fredda che cala sull’altare, sulle rovine fumanti. Io lo trovo magnifico. Che fine abbiano fatto i simboli alchemici ancora non ci è dato di sapere. Nessuno si è preoccupato di rassicurare gli esoteristi, sebbene legittimi figli di quella Madre.

Ovviamente mi è tornato in mente il crollo del 2015 del tempio di Gorakhnath a Kathmandu, per il terremoto. La statua con la raffigurazione più antica del Guru degli yogi è scomparsa sotto il crollo del suo tempio tutto di legno, costruito da un solo albero e senza chiodi, a incastro, in un trionfo di luce e aria e leggerezza che metteva gioia a entrare. Non sono ritornata a Kathmandu dopo il terremoto, anche perché notoriamente viaggio di rado. Ma vi hanno continuato a fluire i miei conoscenti vicini e lontani, in un via vai ininterrotto di turismo che si dice consapevole, ma non si sa bene di cosa. Così, siccome ho avuto la dubbia fortuna di incrociarne un grappolo di recente, che mirava a riunirsi là alla spicciolata a grappoli ulteriori di turisti in fuga, le mie sensazioni sulla scomparsa dell’immagine sacra sono state effettivamente confermate. Vedendo questo manipolo di balordi, eterni adolescenti, ricchi di famiglia come cresi, litigare per cinquanta rupie con un autista di risciò padre di cinque figli, vergognandomi per loro del colore della mia pelle, li ho salutati mentre veleggiavano possibilmente a scrocco alla volta del Nepal, dove avrebbero ricostruito il setting del loro reality show permanente. La loro ennesima casa globale del grande fratello, dove restare in compagnia di se stessi, più o meno gli stessi, nel sacrosanto disordine della loro vita senza santi e senza maestri, ma in cima al mondo, in una stanza in affitto contrattata al centesimo, fino alla prossima puntata, narcisisticamente intervallata dalla prova farisaica di qualche asana, tra piedi e panni sporchi, e pace e amore per tutti. (Intanto il nepalese emigra a fare il soldato o il muratore nei paesi arabi in cui deve lasciare ogni garanzia di diritto, in cambio di una paga con cui potrà costruire una casa nuova in Nepal ai suoi famigliari, che intanto lo aspettano vestendo abiti occidentali, sognando l’occidente e una vita migliore che i vecchi santi non hanno saputo garantire.)

Mi suggerisce Debora che anche Assisi aveva subito un crollo nel terremoto di pochi anni fa… Ma io non cerco i segni dei tempi, piuttosto osservo la grande fuga degli dei. Rompere e liberarsi da ogni luogo calpestato da questo tempo, rompere l’oggetto simulacro che non è più nemmeno la vecchia oppressione di una religione, qualsiasi religione, ormai svuotata di senso, ma la scenografia sovradimensionata di uno spot ideologico della “vita”, sia essa biologica o edonistica, in cui di sicuro – questi grandi dei che insegnavano il suo superamento – non hanno intenzione di restare prigionieri. Come non si possono rinchiudere nell’oggetto, nella conservazione del mero patrimonio artistico museale, come nello specchio fragile delle dottrine, nella sola contemplazione dell’oggetto simbolico o narrativo, per chi invece vorrebbe un mondo intento in adorazione di un simulacro, muto come pietra. La loro lontana sapienza insegnava, nell’impossibilità di additare il Vero in Sè, che la figura che rappresentavano non avrebbe dovuto essere l’oggetto della conoscenza, ma doveva diventare la coscienza stessa del soggetto. Soggetto che l’alchimista e lo yogi dovevano diventare, spirito del Vero, fuggendo la vita dell’identificazione con l’oggetto bestiale della condizione del corpo, della ragione comune, del mondo degli simulacri, materiali e spirituali, per trasformarsi nella realtà senza oggetto, nella pura funzione dell’essere, nell’oro filosofale, che ogni cosa trasforma nell’oro stesso… Non più oggetto volgare e materia, ma presenza dello Spirito, presenza del Guru, di Cristo, del Sè universale. (Perciò il loro volto è detto Persona, è maschera senza volto, maschera a velare un invisibile, che è il soggetto stesso).

Non cosa è andato distrutto, ma Chi? questa sarebbe al limite una domanda da porsi. Kha, “chi?” la sillaba dell’Akasha, dello spazio aperto e incommensurabile, che i grandi dei che esplodono fuori delle mura dei templi sembrano anelare a recuperare. L’Akasha, lo spazio vuoto è la misura e la frequenza fisica di questa sillaba non detta, perché nessuno può pronunciare, l’H muta che allarga lo spazio muto: Chi?
Non c’è formula che possieda il potere e non c’è rito, nessuno possiede il soggetto che è possessore di tutti i corpi e di tutti gli oggetti. Che lo si chiami arte, alchimia, simbolo, esoterismo, yoga, religione o dio… un solo invisibile è il soggetto di tutte queste opere che, se ci sono care, è per il vago ricordo di Sè, che ci sono care. Apprendere una di queste arti o scienze, non è giocherellare con la loro forma materiale, non è ripetere un rito, non è fare questo o quel gesto con il corpo. La metafisica è piuttosto una matematica, un metodo (per cui certamente serve esercizio), il cui apprendimento permette di risolvere molte diverse operazioni e scoprirne di nuove, e conoscere ogni cosa, sacra nel sacro, oltre la sua apparenza e forma nominale: ogni metallo vile è trasformato dall’oro filosofale. Questo avviene quando l’Arte sacra diventa da oggetto di studio a coscienza del soggetto, quando conoscitore, conoscenza e conosciuto diventano una sola cosa. Questo è lo scopo delle discipline esoteriche, dello yoga e dell’alchimia, che questi templi rappresentavano per un pubblico sempre più inconsapevole e attratto da un simulacro. Se quindi crollano le cattedrali, quanto dureranno le immagini esotiche intorno alle quali ci si affretta a mettere un like sui social, o una formula imparata a memoria, disconoscendo il Chi che osserva dal folto della foresta-cattedrale del mondo, se non si coglie la Presenza dietro la Persona che le abita silenziosamente da sempre? Oltre le macerie della cattedrale del mondo, sopra le braci fumanti della foresta dei sensi, non resta che lo spazio aperto e senza nome, dove chi ha conosciuto la realtà primaria trova se stesso, integro, inalterato e alto, e nella distruzione si ritrova chi ha cercato oggetti e formule che inevitabilmente finiranno perduti, tra le cose mutevoli, fallaci e destinate alla caduta per opera della stessa mano del tempo, altra faccia dell’eterno presente.

 

 

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.