Meditazioni con i Tarocchi. Il Papa, il Matto, Gli Amanti.
Un sacerdote, santificato dall’affievolirsi della sua memoria, giocato e perduto dalla sua eloquenza, conservato nel liquido caustico della santa povertà, articolato sulle giunture dello smembramento, fiore bianco che sa di morte e primavera insieme, illuminato dall’ombra che lo sovrasta, come il silenzio che si sta adagiando, sillaba dopo sillaba, sulle sue parole. Alla sua casa si affaccia l’abissale bambino del mondo, vestito di suoni e di ecolalie, muto come un pesce, coperto dalla placenta verde con cui è stato spuntato fuori dalle acque, ancora pinnato, boccheggiante, ignaro, assorto nel sogno che lo circonda e lo nutre di latte velenoso, di sporcizia e di fango, umile e spavaldo. Di chi sei figlio, da dove provieni? Ti dovrei uccidere, pensa l’anziano sacerdote, assorto nelle sue litanie, sempre più sfocate nella memoria, coda pinnata di una conoscenza che ha visto tempi più saettanti e ingloriosi. Adesso, dondolando sul suo trono di erba secca, attende che il lattante profferisca una parola che inneschi il fuoco, ma il pesce è muto e si dimena, chiede aria e cibo, ruba e ride, si offre e si nasconde, si inorgoglisce e si vergogna e non ricorda la parola che lo potrebbe salvare. La sua stirpe lo attende a un passo nel tempo, danzando la morte e il ritorno in vita dell’ignaro antenato. Se ricorderà se stesso, da questo verde discepolo discenderanno musici e poeti, sciamani, lingue di fuoco, bevitori di soma e scalatori di vette. Avranno il suo stesso nome, il suo bastone, la sua pelle maculata come stendardo, e nasceranno dalla sua ascesi. Si affretti a offrire il respiro della sua parola al fuoco del Maestro, prima che la morte e l’oblio lo disperdano danzando.