Filosofia,  Studi,  Tradizione

René Guénon: Il Cuore e la Caverna; La Montagna e la Caverna.

IL CUORE E LA CAVERNA

Abbiamo accennato in precedenza alla stretta relazione che esiste fra il simbolismo della caverna e quello del cuore, e che spiega il ruolo svolto dalla caverna dal punto di vista iniziatico, in quanto rappresentazione di un centro spirituale. Infatti, il cuore è essenzialmente un simbolo del centro, che si tratti del centro di un essere o, analogicamente, di quello di un mondo, cioè, in altri termini, sia che ci si ponga dal punto di vista microcosmico sia dal punto di vista macrocosmico; e quindi naturale, in virtù di questa relazione, che lo stesso significato convenga ugualmente alla caverna; ma dobbiamo ora spiegare più completamente proprio questa connessione simbolica. La «caverna del cuore” è una nota espressione tradizionale: il termine “guha”, in sanscrito, designa in genere una caverna, ma si applica anche alla cavità interna del cuore, e quindi al cuore stesso; è questa «caverna del cuore” il centro vitale in cui risiede, non solo “jivatma”, ma anche “Atma” incondizionato, che è in realtà identico a Brahma stesso, come abbiamo detto altrove [“L’Homme et son devenir selon le Vedanta”, cap. III (si veda Chhandogya Upanishad, 3° Prapathaka, 14° Khanda, shruti 3, e 8° Prapathaka, 1° Khanda, shruti 1)]. La parola “guha” è derivata dalla radice “guh”, il cui senso è «coprire» o «nascondere», senso che è pure quello di un’altra radice similare “gup”, da cui “gupta” che si applica a tutto ciò che ha un carattere segreto, a tutto ciò che non si manifesta esteriormente: è l’equivalente del greco “Kruptos”, da cui la parola «cripta», sinonimo di caverna.

Queste idee si riferiscono al centro, in quanto esso è considerato il punto più interno, e di conseguenza il più nascosto; nello stesso tempo, si riferiscono anche al segreto iniziatico, sia in se stesso, sia in quanto è simboleggiato dalla disposizione del luogo in cui si compie l’iniziazione, luogo nascosto o “coperto» [Cfr. l’espressione massonica «essere al coperto”], cioè inaccessibile ai profani, sia che l’accesso ne sia impedito da una struttura «labirintica» o in qualsiasi altro modo (come, per esempio, i «templi senza porte” dell’iniziazione estremo-orientale), e sempre considerato un’immagine del centro.

D’altra parte, è importante notare che questo carattere nascosto o segreto, per quel che concerne i centri spirituali o la loro raffigurazione, implica che la verità tradizionale stessa, nella sua integralità, non sia più accessibile a tutti gli uomini indistintamente, il che indica che si tratta di un’epoca di «oscuramento” almeno relativo; ciò permette di «situare» questo simbolismo nel corso del processo ciclico; ma è questo un punto sul quale dovremo ritornare più esaurientemente studiando i rapporti fra la montagna e la caverna, in quanto simboli del centro. Ci accontenteremo di indicare per ora che lo schema del cuore è un triangolo con la punta rivolta verso il basso (il «triangolo del cuore” è un’altra espressione tradizionale); e questo stesso schema è applicato anche alla caverna, mentre quello della montagna, o della piramide che le equivale, è al contrario un triangolo con la punta volta verso l’alto; questo mostra come si tratti di un rapporto inverso, e anche in un certo senso complementare. Aggiungeremo, a proposito di questa rappresentazione del cuore e della caverna con il triangolo rovesciato, che si tratta di uno di quei casi in cui esso evidentemente non è collegato con alcuna idea di «magia nera», contrariamente a quanto pretendono troppo spesso coloro che hanno del simbolismo una conoscenza del tutto insufficiente.

Detto questo, torniamo a ciò che, secondo la tradizione indù è nascosto nella «caverna del cuore»: è il principio stesso dell’essere, che, in questo stato di «avviluppamento» e in rapporto alla manifestazione, è paragonato a quanto c’è di più piccolo (la parola “dahara”, che designa la cavità in cui risiede, si riferisce anch’essa a quest’idea di piccolezza), mentre esso è in realtà quanto c’è di più grande, così come il punto è spazialmente infimo e anzi nullo, per quanto sia il principio dal quale è prodotto tutto lo spazio; o, ancora, come l’unità appare il numero più piccolo, per quanto contenga tutti i numeri principialmente e produca da sé tutta la loro serie indefinita. Anche qui, troviamo dunque l’espressione di un rapporto inverso in quanto il principio è considerato secondo due punti di vista diversi; di questi due punti di vista, quello dell’estrema piccolezza concerne il suo stato nascosto e in qualche modo «invisibile», che per l’essere è ancora solo una «virtualità», ma a partire dal quale si effettuerà lo sviluppo spirituale di quest’essere; si tratta dunque, propriamente, dell’»inizio” (initium) di questo sviluppo, il che si trova in relazione diretta con l’iniziazione, intesa nel senso etimologico del termine; e proprio da questo punto di vista la caverna può essere considerata il luogo della «seconda nascita». A questo proposito, troviamo testi come il seguente: «Sappi che questo Agni, che è il fondamento del mondo eterno (principiale), e per mezzo del quale quest’ultimo può essere raggiunto, è nascosto nella caverna (del cuore)» [“Katha Upanishad”, 1° Valli, shruti 14], il che si riferisce, nell’ordine microcosmico, alla «seconda nascita», e anche, per trasposizione nell’ordine macrocosmico, analogicamente, alla nascita dell’Avatara.

Abbiamo detto che nel cuore risiede a un tempo “jivatma”, dal punto di vista della manifestazione individuale, e Atma incondizionato o Paramatma, dal punto di vista principiale; questi due sono distinti in modo soltanto illusorio, cioè relativamente alla manifestazione stessa, e sono identici nella realtà assoluta. Sono «i due che sono entrati nella caverna» e, nello stesso tempo, sono detti anche «dimorare sulla vetta più alta», così che i due simbolismi della montagna e della caverna si trovano qui riuniti [Katha Upanishad, 3° Valli, shruti 1 (cfr. Brahma-Sutra, 1° AdhyAya, 2° Pada, sutra 11-12)]. Il testo aggiunge che «coloro che conoscono Brahma li chiamano ombra e luce»; ciò si riferisce più specificamente al simbolismo di Nara-narayana, di cui abbiamo parlato a proposito dell’Atma-Gita, citando proprio questo testo: Nara, l’umano o il mortale, che è “jivatma”, è assimilato ad Arjuna, e Narayana, il divino o l’immortale, che è Paramatma, è assimilato a Krishna; ora, secondo il loro senso proprio, il nome di Krishna designa il colore oscuro e quello di Arjuna il colore chiaro, ossia rispettivamente la notte e il giorno, in quanto rappresentano il non-manifestato e il manifestato [Cfr. Ananda Coomaraswamy, “The Darker Side of the Dawn” e “Angel and Titan, an Essay in Vedic Ontology”]. Un simbolismo esattamente uguale sotto questo profilo si ritrova altrove nei Dioscuri, messi d’altra parte in relazione con i due emisferi, l’uno oscuro e l’altro illuminato, come abbiamo indicato studiando il significato della «doppia spirale». Da un altro lato, questi «due», cioè jivatma e Paramatma, sono anche i «due uccelli» di cui si parla in altri testi secondo i quali essi «risiedono su uno stesso albero» (così come Arjuna e Krishna stanno su uno stesso carro), e sono detti «inseparabilmente uniti» perché, come dicevamo sopra, sono in realtà uno solo e si distinguono solo illusoriamente [Mundaka Upanishad, 62 3° Mundaka, 1° Khanda, shruti 1; Shwetashwatara Upanishad, 4° Adhyaya, shruti 6]; è importante notare a questo punto che il simbolismo dell’albero è essenzialmente «assiale» come quello della montagna; e la caverna, in quanto viene situata sotto la montagna o all’interno di essa, si trova anch’essa sull’asse, giacché, in ogni caso, e in qualunque modo si considerino le cose, il centro è necessariamente sempre là, essendo il luogo dell’unione dell’individuale con l’Universale.

Prima di abbandonare questo argomento, segnaleremo un’osservazione linguistica alla quale non bisogna forse attribuire un’eccessiva importanza, ma che è nondimeno curiosa: la parola egiziana “hor”, che è il nome stesso di Horus, sembra significare propriamente «cuore»; Horus sarebbe quindi il «Cuore del Mondo», secondo una designazione che si trova nella maggior parte delle tradizioni, e che d’altronde conviene perfettamente all’insieme del suo simbolismo, nella misura in cui è possibile rendersene conto. Si potrebbe essere tentati, a prima vista, di accostare questa parola “hor” al latino “cor”, che ha lo stesso senso, e questo tanto più che, nelle diverse lingue, le radici similari che designano il cuore si trovano sia con l’aspirata sia con la gutturale come lettera iniziale: così, da una parte, “hrid” o “hridaya” in sanscrito, “heart” in inglese, “herz” in tedesco, e, dall’altra, “ker” o “kardion” in greco, e “cor” (genitivo “cordis”) in latino; ma la radice comune di tutte queste parole, compresa l’ultima, è in realtà HRD o KRD, mentre non sembra si possa dire altrettanto per il termine “hor”, di modo che si tratterebbe qui, non di una reale identità di radice, ma solo di una specie di convergenza fonetica, comunque abbastanza singolare. Ma ecco la cosa forse più notevole, e che in ogni caso si ricollega direttamente al nostro tema: in ebraico, la parola “hor” o “hur”, scritta con la lettera “heth”, significa «caverna»; non vogliamo dire che ci sia un legame etimologico fra le due parole, l’ebraica e l’egiziana, benché a rigore possano avere un’origine comune più o meno remota; ma poco importa in fondo, perché quando si sa che non può esserci da nessuna parte alcunché di puramente fortuito, l’accostamento appare comunque degno d’interesse. Non è tutto: anche in ebraico, “hor” o “har”, scritto questa volta con la lettera “he”, significa «montagna»; se si osserva che la “heth”, nell’ordine delle aspirate, è un rafforzamento o un indurimento della “he”, il che denota in qualche modo una «compressione», e che d’altronde questa lettera esprime di per se stessa, ideograficamente, un’idea di limite o di chiusura, si vede che, per il rapporto stesso delle due parole, la caverna è indicata come il luogo chiuso all’interno della montagna, il che è esatto sia letteralmente sia simbolicamente; e ci troviamo così ricondotti ancora una volta ai rapporti della montagna e della caverna, che dovremo esaminare ora più in particolare.

LA MONTAGNA E LA CAVERNA

Esiste dunque uno stretto rapporto fra la montagna e la caverna, in quanto sono entrambe prese come simboli dei centri spirituali, come lo sono del resto, per evidenti ragioni, anche tutti i simboli «assiali” o «polari», tra cui la montagna è appunto uno dei principali. Ricorderemo, a tale riguardo, che la caverna dev’essere considerata situata sotto la montagna o al suo interno, in modo da trovarsi anch’essa sull’asse, il che rinsalda ulteriormente il legame esistente fra questi due simboli, che sono in qualche modo complementari l’uno dell’altro. Per «situarli” esattamente l’uno in rapporto all’altro bisogna comunque notare anche che la montagna ha un carattere più «primordiale» della caverna: ciò risulta dal fatto che essa è visibile all’esterno, che è anzi, si potrebbe dire, quel che c’è di più visibile da tutte le parti, mentre invece la caverna è, come abbiamo detto, un luogo essenzialmente nascosto e chiuso. Si può facilmente dedurne che la rappresentazione del centro spirituale tramite la montagna corrisponde propriamente al periodo originario dell’umanità terrestre, periodo durante il quale la verità era integralmente accessibile a tutti (donde il nome di Satya-Yuga, e la vetta della montagna è allora Satya-Loka o «luogo della verità»); ma quando, in seguito al cammino discendente del ciclo, questa stessa verità fu ormai solo alla portata di un’“élite” più o meno ristretta (il che coincide con il principio dell’iniziazione intesa nel suo senso più stretto) e diventò nascosta alla maggioranza degli uomini, la caverna fu un simbolo più appropriato al centro spirituale e, quindi, ai santuari iniziatici che ne sono l’immagine. A causa di tale cambiamento, il centro, si potrebbe dire, non abbandonò la montagna, ma si ritirò soltanto dalla cima verso l’interno; d’altra parte, questo cambiamento è in qualche modo un «capovolgimento», per cui, come abbiamo spiegato altrove, il «mondo celeste» (al quale si riferisce l’elevazione della montagna al di sopra della superficie terrestre) è divenuto in un certo senso il «mondo sotterraneo” (per quanto in realtà non sia stato esso a cambiare, ma le condizioni del mondo esterno, e di conseguenza il suo rapporto con questo); e tale «capovolgimento» è raffigurato dai rispettivi schemi della montagna e della caverna, che esprimono nello stesso tempo la loro complementarità.

Come abbiamo detto precedentemente, lo schema della montagna, come quelli della piramide e del tumulo che ne sono gli equivalenti, è un triangolo con il vertice rivolto verso l’alto; quello della caverna, invece, è un triangolo con il vertice volto verso il basso, quindi invertito rispetto al precedente. Il triangolo rovesciato è anche lo schema del cuore [Si può riferire a questa raffigurazione il fatto che il nome arabo del cuore (qalb) significa propriamente che esso si trova in posizione “rovesciata» (maqlub) (cfr. T. Burckhardt, “Du Barzakh”, in “Etudes Traditionnelles», dicembre 1937)], e della coppa che gli viene generalmente assimilata nel simbolismo, come abbiamo mostrato in particolare per quanto concerne il Santo Graal [Nell’antico Egitto, il vaso era il geroglifico del cuore. La «coppa» dei Tarocchi corrisponde anch’essa al «cuore «delle carte comuni]. Aggiungiamo che questi ultimi simboli e quelli a essi simili, da un punto di vista più generale, si riferiscono al principio passivo o femminile della manifestazione universale, o a qualche suo aspetto [In India, il triangolo rovesciato è uno fra i principali simboli della Shakti, come anche delle Acque primordiali], mentre quelli schematizzati dal triangolo diritto si riferiscono al principio attivo o maschile; si tratta quindi di una vera e propria complementarità. D’altra parte, se si dispongono due triangoli uno sotto l’altro, il che corrisponde alla posizione della caverna sotto la montagna, si vede che il secondo può essere considerato il riflesso del primo (fig. 12); e quest’idea del riflesso conviene benissimo al rapporto fra un simbolo derivato e un simbolo primordiale, secondo ciò che abbiamo appena detto sulla relazione tra la montagna e la caverna in quanto rappresentazioni successive del centro spirituale delle diverse fasi dello sviluppo ciclico.

Qualcuno potrebbe meravigliarsi che noi raffiguriamo qui il triangolo rovesciato più piccolo del triangolo diritto, poiché, dal momento che ne è il riflesso, sembrerebbe che debba essergli uguale; ma tale differenza nelle proporzioni non è una cosa eccezionale nel simbolismo: così, nella Cabala ebraica, il «Macroprosopo» o «Grande Volto» ha come riflesso il «Microprosopo” o «Piccolo Volto». Inoltre, c’è, nel presente caso, una ragione più particolare: abbiamo ricordato, a proposito del rapporto fra la caverna e il cuore, il testo delle Upanishad in cui è detto che il Principio, il quale risiede al «centro dell’essere», è «più piccolo di un grano di riso, più piccolo di un grano d’orzo, più piccolo di un grano di senape, più piccolo di un grano di miglio, più piccolo del germe che si trova in un grano di miglio», ma anche, nello stesso tempo, «più grande della terra, più grande dell’atmosfera (o mondo intermedio), più grande del cielo, più grande di tutti questi mondi assieme» [Chhandogya Upanishad, 3° Prapathaka, 14° Khanda, shruti 3]; ora, nel rapporto inverso fra i due simboli che stiamo considerando, l’idea di «grandezza» corrisponde qui alla montagna, e quella di «piccolezza» alla caverna (o cavità del cuore). L’aspetto della «grandezza» si riferisce d’altronde alla realtà assoluta, e quello della “piccolezza» alle apparenze relative alla manifestazione; è dunque perfettamente normale che il primo sia qui rappresentato dal simbolo che corrisponde a una condizione “primordiale» [È noto che Dante situa il Paradiso terrestre in cima a una montagna; questa posizione è dunque proprio quella del centro spirituale nello «stato primordiale» dell’umanità], e il secondo da quello che corrisponde a una condizione successiva di «oscuramento» e di «avviluppamento» spirituale.

Se si vuol rappresentare la caverna situata proprio all’interno (o nel cuore, si potrebbe dire) della montagna, basta trasportare il triangolo rovesciato all’interno del triangolo diritto, in modo da far sì che i loro centri coincidano (fig. 13); esso deve allora essere per forza più piccolo per potervi essere contenuto tutto intero, ma, a parte questa differenza, l’insieme della figura così ottenuta è manifestamente identico al simbolo del «Sigillo di Salomone», in cui i due triangoli opposti rappresentano allo stesso modo due princìpi complementari, nelle diverse applicazioni di cui sono suscettibili. D’altra parte, se si tracciano i lati del triangolo rovesciato uguali alla metà di quelli del triangolo diritto (li abbiamo fatti un po’ minori perché i due triangoli appaiano completamente staccati l’uno dall’altro, ma, di fatto, è ovvio che l’entrata della caverna deve trovarsi alla superficie stessa della montagna, quindi che il triangolo che la rappresenta dovrebbe realmente toccare il contorno dell’altro) [Si potrà notare, dallo stesso schema, che se la montagna è sostituita dalla piramide, la camera interna di questa è l’esatto equivalente della caverna], il triangolo piccolo dividerà la superficie di quello grande in quattro parti uguali, una delle quali sarà lo stesso triangolo rovesciato, mentre le altre tre saranno dei triangoli diritti; quest’ultima considerazione, come pure quella di certe relazioni numeriche che vi si riallacciano, non rientra direttamente, a dire il vero, nell’argomento che stiamo trattando, ma avremo probabilmente occasione di riprenderla in seguito nel corso di altri studi.

Da: SIMBOLI DELLA SCIENZA SACRA
TITOLO ORIGINALE: Symboles fondamentaux de la Science sacrée
Traduzione di Francesco Zambon
seconda edizione: aprile 1978
1962 EDITIONS GALLIMARD – PARIS
1975 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. – MILANO

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.