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La nascita di Rama

Re Dasharatha si recò in visita presso il regno di Anga, accompagnato dalle sue regine e i suoi ministri. Romapada, il re di Anga e suo parente, accolse con piacere il corteo reale e gli tributò tutti gli onori. Dopo i saluti di rito, Dasharatha espose il motivo della sua visita: “Mio caro amico, tu sai che io sono senza figli e desidero una discendenza. E’ stato predetto dal grande saggio Sanat Kumara che solo Rishyashringa, marito di tua figlia di Shanta, può condurre il rituale per assicurarmi una discendenza. In assenza di suo padre Vibhandaka, tu sei come un padre per lui. Ti chiedo gentilmente, accompagnalo ad Ayodhya, insieme alla famiglia, e permettigli di condurre per me lo Yagna Ashwamedha per farmi ottenere i figli che tanto desidero”.

Romapada rispose: “Caro Re, è detto che un uomo senza un figlio non può aspirare a raggiungere le regioni celesti dei suoi antenati. Sono molto onorato che mio genero possa aiutare la continuazione della dinastia di Ikshvaku. Io sarò certamente presente a questo nobile Yagna condotta da Rishyashringa “. Con queste parole, Romapada inviò un messaggero per informare Rishyashringa della richiesta avanzata dal re Dasharatha. Ottenuto il consenso dei Brahmana, Dasharatha tornò al suo Regno di Kosala e incominciò i preparativi per lo Yagna.

L’intera città di Ayodhya venne addobbata in vista del rito vedico. Molti eminenti bramini furono invitati a partecipare e a presenziare alla cerimonia. I cittadini erano in trepidante attesa del giorno dello Yagna, perché finalmente avrebbero avuto un erede al trono. Quando l’eminente Ritwik Rishyashringa giunse, il re e i suoi ministri lo ricevettero alle porte della città e lo salutarono al suono di conchiglie e tamburi. Dasharatha scortò Rishyashringa al palazzo e lo salutò con reverenza, come ordinato nelle Scritture, e formalmente lo investì del titolo di sacerdote officiante del sacrificio. Dasharatha gioì nel riconoscere nel giovane Rishi l’illuminazione data dalla vera conoscenza e dalla penitenza, ritenendolo un segno che il suo desiderio sarebbe stato esaudito. Shanta, la moglie di Rishyashringa fu ugualmente ben accolta e onorata dalle donne della famiglia reale.

Prima di eseguire un rituale vedico del più alto ordine, lo Yajaman (qui re Dasharatha) è tenuto ad osservare i vari rituali subordinati e prepararsi per il periodo di un anno. Dasharatha osservò questi rituali diligentemente, sotto la supervisione di Rishyashringa, e fu pronto a svolgere il sacrificio all’inizio della primavera dell’anno seguente.

Alla fine dell’anno di penitenza, Dasharatha chiese al suo sacerdote capo Vasishta di iniziare il rituale principale. Il saggio Vasishta diede istruzioni ai dotti Brahmana, agli architetti e agli altri esperti per costruire area e altare in conformità con le Scritture. Alcuni dei più stretti amici di Dasharatha si erano stabiliti in Ayodhya un anno prima, per partecipare alla festa che precede il rituale vedico. Altri amici e alleati furono invitati per l’occasione solenne. Tra i re giunti per partecipare al sacrificio c’erano: Janaka, il re di Mithila, il re di Kashi, il suocero di Dasharatha re di Kekeya e i suoi figli, Romapada il re di Anga, Bhanumanta il re di Kosala, Praptijna il re di Magadha, e molti altri. Tutti offrirono doni preziosi per dichiarare il loro affetto per Dasharatha.

All’ora propizia stabilita, i Brahmana guidati da Rishyashringa e Vasishta entrarono nell’area rituale. Re Dasharatha e le sue mogli formularono le intenzioni e i voti per lo svolgimento del rito e la cerimonia ebbe inizio. L’etere vibrava del canto dei Veda. Uno per uno, tutti gli Dei furono invocati e le oblazioni gettate nel fuoco rituale. Grazie all’impeccabile Rishyashringa e al nobile Vasishta a dirigere la cerimonia, nemmeno il più piccolo errore turbò lo svolgimento del rito.

Per tutta la durata dello Yagna, a tutta la città fu offerto cibo abbondante e prelibato. Nessuno doveva patire la fame durante la cerimonia. Mentre le oblazioni erano offerte nell’ara centrale, molti dibattiti e di altri concorsi accademici si svolgevano negli edifici esterni. Rappresentazioni teatrali, musicali e spettacoli di danza si tennero per l’intrattenimento degli ospiti riuniti.

L’ara sacrificale era costruita a forma di una grande aquila, simbolo del volo di Garuda, il veicolo del Signore Vishnu. Le ali di questo altare erano decorate in oro zecchino. Innumerevoli animali di ogni tipo furono preparati per essere sacrificati agli Dei come previsto nelle Scritture. Come è noto, il sacrificio principale era quello del cavallo, che era già stato ucciso. Le tre mogli del re Dasharatha simbolicamente trafissero l’animale morto con aghi e coltelli d’oro, per significare l’offerta agli dei.

La regina Kausalya, la prima regina di Dasharatha, trascorse quindi una notte con il cavallo morto. Poi si tenne l’offerta rituale di tutte le ricchezze del re ai Ritwik, i sacerdoti. Il re simbolicamente offrì il suo regno, il suo bestiame, le sue mogli ai Ritwik, che immediatamente glieli resero. Il Ritwik poi raccolse il grasso del cavallo morto e lo lasciò cadere sull’altare, nel fuoco sacrificale, come offerta ai celesti. Una per una, le restanti parti del corpo del cavallo furono gettate nel fuoco sacrificale dal collegio dei sedici sacerdoti officianti.

Allora il re fece dono di terre e di bovini ai quattro sommi sacerdoti del sacrificio. Oro fu distribuito anche agli altri Brahmana che avevano assistito al sacrificio. Allietato dalle opere meritorie di Dasharatha, Rishyashringa lo benedisse, dicendo: “Genererai quattro figli illustri”.

Dopo aver terminato lo Yagna Ashwamedha, si osservò il rituale del Putra Kameshti al fine di garantirsi la progenie. Poiché se tale rito è officiato, gli Dei e le altre nobili anime celesti ricevono le dovute oblazioni sacrificali.

Vedendo che il Signore Brahma era tra la folla riunita, Indra gli si inchinò e gli disse: “Signore, le devastazioni prodotte da Ravana il Rakshasa sono diventate intollerabili. Armato di poteri concessi da Shiva, è ormai invincibile. E’ stato anche benedetto da lui con molti doni e poteri e ciò lo ha reso arrogante. Sta torturando i saggi, i celesti e ora anche i Brahmana. Ti prego di consigliarci un modo per porre fine a questa miseria. ”

Il signore Brahma rispose: “Ha ricevuto il dono di non essere ucciso dai deva, né dagli esseri divini, Gandharva, Yaksha o demoni. Ha omesso però gli esseri umani da questo elenco, valutandoli di nessun conto. Qui si trova possibilità della sua morte. Non preoccuparti più, il Signore Vishnu si è incarnato in un mortale per ucciderlo. ”

Nel frattempo, sotto la guida di Rishyashringa iniziarono a riversarsi le oblazioni sacrificali sull’altare, accompagnate da canti dall’Atharva Veda. Dal fuoco sacrificale quindi emerse un essere divino, il pursha Prajapatya (प्रजापत्य पुरुष), che teneva una coppa incandescente tra le mani. Era vestito in rosso e nero, aveva i baffi sul volto feroce e la sua voce era come quella di un tuono. Questa divinità si rivolse a re Dasharatha e disse: “O re, mi riconoscerai per essere il messaggero di Prajapati”.

Il re lo salutò con le mani giunte e capo chino e disse: «O divino essere, benvenuto nel mio regno. Ho condotto questo rituale con l’intenzione di ottenere progenie. Cosa devo fare dunque?”

L’essere quindi disse: “Guarda o re, in questo vaso d’oro, splendente come il sole di mezzogiorno, richiuso in argento cesellato. Contiene il nettare divino che è risultato dalle vostre azioni di culto. Soddisfatti della vostra devozione, gli Dei mi hanno mandato a offrire a te questo nettare divino, come la tua porzione. Sia consumato dalle tue mogli, ed esse partoriranno i figli che desideri, al momento giusto. ”

Grato, il re accettò la coppa dalla divinità. Poi tutti onorarono con la circoambulazione la divinità e il fuoco sacrificale. Il pursha Prajapatya quindi scomparve di nuovo nel fuoco.

Il re offrì allora metà del succo alla regina Kausalya, per prima. Un quarto alla regina Sumitra e un ottavo alla regina Kaikeyi. Poi, visto che c’era ancora un ottavo del nettare nella coppa, lo diede di nuovo a Sumitra, che così ne ebbe due volte. Con la forza del nettare divino, tutte tre ben presto rimasero incinte.

Quando i riti finali del sacrificio furono terminati, i vari re che erano venuti per assistere al rituale vedico si congedarono. Romapada tornò ad Anga, accompagnato dalla figlia Shanta e dal genero Rishyashringa, che aveva ottenuto una ricchissima ricompensa come sacerdote capo del rituale.

Dodici mesi dopo il compimento dell’Ashwamedha, il giorno nove del mese di Chaitra, quando la stella Punarvasu era all’ascendente, e la divinità che presiede la stella era Aditi, quando i pianeti Sole, Marte, Giove, Saturno e Venere erano nella loro posizione più alta, quando Giove e la Luna erano in ascendente nel segno del Cancro, la regina Kausalya diede alla luce un figlio dotato di tutti gli attributi divini. Questo ragazzo dagli occhi di loto rosso, dalle braccia forti, e le labbra rosee, era l’incarnazione di Vishnu – e gli fu dato nome Rama. Kausalya era raggiante di gioia con suo figlio Rama in braccio, come Aditi lo era stata con il figlio di Indra, in tempi lontani.

Poco dopo, Kaikeyi diede alla luce Bharata, che sarebbe divenuto famoso per il suo senso di giustizia. Sumitra diede alla luce i gemelli Laxmana e Shatrughna, che divennero grandi guerrieri, abili in tutte le armi. Bharata nacque sotto il segno dei Pesci, con all’ascendente la stella Pushyami. I gemelli nacquero sotto il segno del Cancro, con all’ascendente la stella Asresha.

Il popolo gioì per la nascita dei principi. Il re offrì ricchi doni a bardi e poeti, Brahmana e altre persone meritevoli. Furono elargiti migliaia di capi di bestiame, per l’occasione. Undici giorni dopo la nascita dei principi, si tenne la cerimonia di imposizione del nome, presieduta dal Vasishta capo-sacerdote. I quattro fratelli deliziarono i loro genitori con la gioia infantile e il loro reciproco affetto.

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