Sri Adi Shankara,  Visionaire.org

Adi Shankaracharya: Nirguna Manasa Puja. L’adorazione dell’Essere Senza Attributi.

Il discepolo disse:

1. All’indivisibile Satcitananda la cui natura è incondizionata e che è conosciuto anche come lo stato non-duale, come è dovuta l’adorazione?

2. Quali sono le invocazioni (avahana) della Pienezza e la posizione (asana) di Ciò che Tutto supporta? Come lavare i Suoi piedi (padya), offrire dell’acqua (arghya) e come prenderne un sorso (achamana) davanti al limpido e puro Uno?

3. Come si procederà all’abluzione (snana) per l’Immacolato e alla vestizione (vasa) per il ventre dell’universo? Quale cordone brahmanico (upavita) per Colui che è senza ascendenti o casta?

4. Come offriremo la pasta di sandalo (gandha) a Quello che nulla attacca, e fiori a Colui che è senza odore? Quale sarà il gioiello per l’Indifferenziato? Quale l’ornamento per Colui che non ha forma?

5. A cosa servirà l’incenso a Colui che è senza macchia, o la lampada (dipa) per il Testimone di tutto? Quale offerta di cibo (naivedyam) per Colui che è sazio della Sua Beatitudine?

6. – 7.Come preparare il betel (tambula) per Colui che tiene unito il cosmo? Colui la cui natura è consapevolezza incondizionata, Colui che illumina il sole e le stelle, Colui che è cantato nei versi della Sruti, per Lui, come si devono porgere le lampade (nirajana), come circondare con i passi (pradaskina) Colui che è Infinito? Quale prostrazione (pranama) per la Realtà Non-duale?

8. Per Colui che non è invocato dalle parole dei Veda, quale preghiera (stotra) ci è prescritta? Come officiare la cerimonia di commiato (udavasana) per Colui che risiede ugualmente all’interno come all’esterno?

Il Maestro rispose:

9. Io venero l’atmalinga che risplende come un gioiello nel loto apparente del cuore, all’interno della cittadella illusoria, con l’abluzione (abhisheka) della mente purificata nel fiume della devozione, con i fiori del samadhi, a beneficio della non-rinascita.

10. “Io sono l’Uno, il Fondamento”, così si deve invocare (avahayet) il Signore Shiva. Quindi si deve preparare il seggio (asana) pensando al Sé fondato in sé stesso.

11. “Non ho alcun contatto con la polvere della virtù e del peccato”, così il saggio deve offrire la lavanda dei piedi (padya), poichè questa è la conoscenza che distrugge ogni peccato.

12. Si deve rigettare l’ignoranza senza inizio, fondata nello scorrere del tempo. Questo è la vera offerta dell’acqua (arghya) per il simbolo del Sé.

13. “Indra e gli altri esseri celesti bevono solo una goccia dell’oceano di beatitudine del Brahman”. Questa meditazione è equivalente al sorso (achamana).

14. “Tutti i mondi sono immersi nelle acque della beatitudine di Brahman, l’indivisibile”. Questa meditazione è l’abluzione (abhishechana) del Sè.

15. “Io sono la luce della pura Consapevolezza”. Questo pensiero è la sacra veste (sad vastram) del simbolo del Sé.

16. “Io sono il supporto della ghirlanda dei mondi, e la natura dei tre Guna” Questa convinzione è ritenuta essere il vero cordone sacro (upavita).

17. Questo mondo composto da numerose impressioni è supportato da me, e da nessun altro”. Questa meditazione è la pasta di sandalo (chandana) del Sé.

18. Con il fiore di sesamo della rinuncia alle attività di Sattva, Rajas e Tamas, si deve sempre venerare (yajet) il lingam del Sé, per realizzare la liberazione in vita.

19. Con le foglie della non distinzione tra il Signore, il Maestro e il Sé, si deve adorare il Signore Shiva che è immagine del Sé.

20. Il Suo incenso (dhupa) è l’abbandono di tutte le impressioni mentali. Il saggio mostri la lampada (dipa) che è la realizzazione del Sé.

21. L’offerta di cibo (naivedyam) al simbolo del Sé è l’impasto di riso conosciuto come l’uovo universale di Brahma. Si beva il dolce nettare di beatitudine che è la deliziosa bevanda (upasechana) di Mrityu, offerta a Shiva.

22. Si deve ricordare che la purificazione dai residui dell’ignoranza con l’acqua della conoscenza, è il lavacro delle mani (hasta prakshalana) del puro simbolo del Sé.

23. Abbandonare l’uso di oggetti di attaccamento, questo è il betel (tambula) del Signore Shiva, il Sé supremo che è privo di attributi, a cominciare dalle passioni.

24. Con la conoscenza della natura unica e propria di Brahman, la più splendente, e con il bruciare fino alla distruzione le tenebre dell’ignoranza, si compie il cerimoniale delle lampade (nirajana) del Sé.

25. La visione del Brahman multiforme forma la composizione (alamkritam) delle ghirlande. Si ricordi poi la completa beatitudine del Sé, come l’offerta dei fiori (pushpanjali).

26. “Le uova mondane di Brahman a migliaia ruotano in me, il Signore, ma la mia natura è immobile e salda come una montagna”. Questa meditazione è il camminare in cerchio (pradaskina).

27. “Realmente io sono meritevole della lode dell’intero universo. Nessun altro che il mio vero Sé è meritevole di tale saluto.” Questa riflessione è realmente la lode (vandana) del simbolo del Sé.

28. Riconoscere l’irrealtà dei doveri è il sacrificio (sat Kriya) del Sé. Pensando il Sé al di là dei nomi e delle forme si onora il suo nome (nama kirtana).

29. L’ascolto (shravana) della dottrina è offerto con il pensiero dell’irrealtà delle cose ascoltate. La riflessione (manana) è compiuta con il pensiero dell’irrealtà delle cose su cui si riflette.

30 – 31. La conoscenza dell’irrealtà degli oggetti di contemplazione costituisce la meditazione profonda (nididhyasana) del Sé. La devozione al Sé attraverso l’assenza di illusioni e distrazioni è chiamata la perfetta stabilizzazione (samadhi) del Sé; e non l’illusione propria di coloro che hanno la mente rivolta a qualcosa altro. Questo è detto l’eterno riposo della mente (chitta vishranti) nel Brahman.

32 – 33. Perciò compiendo, in accordo col Vedanta, questa adorazione del simbolo del Sé fino alla morte o anche per un solo momento, colui che è perfettamente concentrato può liberarsi dalle illusioni e dalla impressioni accumulate, come ci si libera i piedi dalla polvere. E quando si siano tolti di dosso gli accumuli di ignoranza e di paura, si ottiene la beatitudine della liberazione.

[dalla versione inglese di Sw. Yogananda Sarasvati. Publ. In Tattvaloka – Apr.-Mag. 1992 | Traduzione: Beatrice Polidori]

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